Introduzione
Bastardi senza popolo e senza gloria quali siamo, abbiamo pensato di fare una raccolta di testi a proposito della lotta No Tav in Val Susa pubblicati nel corso di questi ultimi quattro anni sul sito finimondo.org. Vi abbiamo aggiunto alcuni testi più teorici, apparsi sul medesimo sito, che abbordano la spinosa questione della partecipazione nelle lotte sociali da parte di chi ha aspirazioni non riducibili a un qualsiasi rivendicazionismo. Chiudono il libro tutti i documenti apparsi dopo che i portavoce «di Movimento» di tale lotta hanno pubblicamente indicato alla polizia, dalle pagine dei loro siti (notav.info e infoaut.org), i redattori di Finimondo quali autori di alcuni sabotaggi avvenuti nel presente e di altre azioni illegali avvenute nel passato. Pubblica delazione poi corretta, nascosta, negata, in mezzo all’imbarazzo generale. In effetti non si erano mai visti dei “leader rivoluzionari” mostrarsi palesemente al servizio della polizia. Noncuranti degli insopportabili stridii di specchi su cui si arrampicavano, gli infami capipopolo valsusini hanno cercato di seppellire questa vicenda sotto una montagna non di amianto, bensì d’oblio.
La lettura dei testi apparsi su Finimondo mostra chiaramente quali siano la prospettiva e la critica formulate. Dato per scontato che le lotte sociali odierne non possono certo porsi obiettivi esplicitamente rivoluzionari, si avanza la possibilità di intervenire nelle stesse per cercare di spingerle oltre i loro limiti immediati. Contrariamente a quanto sostiene un certo «nichilismo», le lotte sociali non aprono inevitabilmente un baratro di compromessi dentro cui si precipita (idea che porta alla scelta logica di evitarle sempre e comunque, chiudendo l’azione anarchica in un solipsismo autoreferenziale). La rinuncia alle proprie aspirazioni più radicali non è affatto ineluttabile, anzi. Tutto sta nei metodi con cui si sceglie di agire. Infatti, contrariamente alla pretesa di un certo pragmatismo cittadinista, un intervento può anche avvenire in maniera critica.
Ricordiamo che la lotta No Tav è salita alla ribalta delle cronache alla fine degli anni 90, dopo che alcuni sabotaggi avvenuti all’epoca portarono all’arresto di tre anarchici, due dei quali in seguito “suicidati”. Senza quei sabotaggi, senza il clamore di quelle morti, non si sarebbe sviluppata tanta attenzione. Non è stata la prima timida protesta cittadinista valsusina ad aver dato slancio a questa lotta, ma il sabotaggio di pochi nemici di questo mondo. Cosa questa che viene tutt’oggi negata dal ceto politico infame che cavalca questa lotta, e talvolta sembra sia stata dimenticata anche da molti anarchici. Arma del sabotaggio che è stata accettata collettivamente solo dopo essere stata «sdoganata» da un noto scrittore catto-comunista, il quale ha preso le difese di chi è stato arrestato nel dicembre del 2013 con l’accusa di aver partecipato all’assalto al cantiere di Chiomonte avvenuto nel mese di maggio dello stesso anno. Essendosi trattato di un assalto collettivo, approvato anche da cotanta celebrità, i capibastone del movimento No Tav hanno calcolato che la bilancia pendesse in loro favore ed hanno fatto una eccezione alla loro regola dissociazionista. Hanno difeso i quattro sabotatori No Tav, anche quando hanno apertamente rivendicato la propria responsabilità in tribunale. La loro manovalanza libertaria, invece, non essendo più costretta a tacere per non disturbare il conducente, si è sbizzarrita nel millantare che il sabotaggio è sempre stato il suo mondo. Tutto ciò è durato fino a pochi giorni dopo l’assoluzione dall’accusa di terrorismo formulata contro i quattro sabotatori No Tav, condannati il 17 dicembre 2014 solo per reati specifici.
Inutile girarci attorno. Sono troppo scivolosi quegli specchi. I leaderini della principale lotta sociale in corso qui in Italia sono, precisamente, dei delatori (per mera idiozia o per calcolo politico, non è questo il punto). Fra i loro sguatteri libertari, non pochi sono dichiaratamente intenzionati a rimanere al loro servizio. Punto e basta. Come è stato scritto, il dado è tratto. I primi, ambiziosi di legittimità e di egemonia, a furia di ammiccare ai magistrati si ritrovano ora con un futuro marchiato per sempre. Chi chiameranno come docente nella loro prossima umile e modesta Università delle Lotte, Giuda Iscariota? Intanto, stanno già allenandosi per rimuovere i loro critici. I secondi, vogliosi di consensi e di tranquillità, a furia di ammiccare agli infami si ritrovano ora con un futuro marchiato per sempre. Dove troveranno ora babbei a cui poter raccontare che la lotta No Tav ha praticato una «rottura con la morale pubblica… articolata sugli assi del pentitismo e della delazione, della dissociazione e dell’abiura»? All’asilo nido? Intanto, stanno già rinnovando il guardaroba.
Scintille
Se la Val Susa chiama…
… bisogna rispondere, non c’è dubbio. Perché da tempo non si sviluppava uno scontro così generalizzato fra un’intera popolazione e lo Stato. Uno scontro che dura da anni e che nessuno è finora riuscito a dirimere, data l’impossibilità di trovare una soluzione condivisa. Non che siano mancati aspiranti mediatori e conciliatori, brava gente interessata a imbastire un accordo fra istituzioni nazionali e abitanti locali. Solo che, in un certo senso, tutti sono andati a cozzare contro l’incredibile arroganza di questo governo che ha pensato di poter pacificare quella vallata prima coi manganelli e poi con i gas lacrimogeni. Anziché rivedere parzialmente i propri progetti, giocare sulla partecipazione ed offrire carote a tutti — cosa che per un breve periodo di tempo è stato possibile — i governanti hanno preferito brandire il bastone per imporre il proprio arbitrio a quegli zotici montanari. Il risultato è oggi sotto gli occhi di tutti: lo scorso 3 luglio decine di migliaia di persone hanno dato e sostenuto la battaglia contro le forze dell’ordine.
Ma, se la Val Susa chiama, non è detto che l’unica risposta da dare sia quella di prendere un treno per Chiomonte dopo essersi dotati di scarponi e zainetto. Con buona pace di piccoli e grandi leader di movimento che amano contare chi reputano presente ai loro appelli, non tutti hanno la possibilità, o anche solo la voglia, di unirsi al variegato popolo NoTav in lotta per il Bene Comune (come ossessivamente ripetuto da una vulgata cittadinista tanto più dilagante quanto incontrastata).
Per tutti coloro che sono troppo impossibilitati o troppo disgustati per saltare sopra un treno — e che sono assai più di quel che si potrebbe supporre —, come anche per tutti quelli che pensano che quella lotta debba uscire dai ristretti confini geografici di una vallata piemontese, se vuole davvero deflagrare in tutto il paese, esistono altre possibilità. E non ci riferiamo ovviamente a quella data per scontata di presidiare a destra e a sinistra i luoghi istituzionali, bensì alla possibilità di alimentare l’incendio principale accendendo altrove nuovi focolai. Battere le pur solitarie periferie, non puntare sull’affollato centro. Si tratta di una possibilità indecifrabile, marginale, priva del «calore della comunanza», eppure decisiva. Quella lotta, per trovare ossigeno, deve uscire dal bucolico contesto a cui in troppi vorrebbero inchiodarla.
Se un’amnesia interessata non giocasse ormai brutti scherzi si sarebbe gridato da un pezzo che il Tav è dappertutto, e che non occorre né attendere scadenze istituzionali né raggiungere territori delimitati per poter prendere parte a questa lotta.
Lo hanno dimostrato sia i fuochi divampati nel modenese e a Firenze nei cantieri Tav, sia i blocchi ferroviari effettuati a Napoli, sia le vetrate del PD infrante nel teramano, sia le contestazioni a Bersani avvenute a L’Aquila. Esempi la cui diversità è indice di una ricchezza che andrebbe perduta qualora ci si ostinasse a pretendere di accentrare tutto in un sol luogo.
«Ma chi l’ha detto che ai disoccupati non si può parlare – praticandoli – di sabotaggio, di abolizione del diritto, o del rifiuto di pagare l’affitto? Chi l’ha detto che, durante uno sciopero di piazza, l’economia non può essere criticata altrove? Dire ciò che il nemico non si aspetta ed essere dove non ci attende. Questa è la nuova poesia».
12/7/11
No Tav No Stato
Aveva proprio ragione Simone Weil: quando i professionisti della parola decidono di occuparsi della triste sorte altrui, scelgono di parlare di questioni tecniche. Se sono sindacalisti a difesa del lavoro, parleranno di aumenti salariali, cambio dei turni, misure di sicurezza. Se sono ambientalisti paladini della democrazia, parleranno di camion di detriti, decibel di rumore, misure di sicurezza. È risaputo che chi ascolta accoglie con sollievo la facile chiarezza delle cifre, dati oggettivi che non richiedono alcun pensiero singolare.
Pensiamo alla propaganda che viene fatta attorno all’Alta Velocità. Per riuscire a farsi capire da tutti, condizione indispensabile per ampliare il sostegno a quella lotta, cosa c’è di meglio che illustrare tutti i dettagli tecnici di quell’infame progetto? Sapete quanto sarà lungo quel tunnel? E quanto ci verrà a costare? E che dire della composizione geologica delle rocce che vorrebbero forare? Per non parlare della polvere sollevata, del traffico paralizzato, delle coltivazioni perse, dei ruscelli prosciugati… Una mole impressionante di dati — che per essere presi per buoni necessitano della preziosa conferma di periti possibilmente di fama (quegli specialisti del sapere separato oggi tanto adulati) — viene sciorinata per sollecitare la mobilitazione. Se si vuole fare numero bisogna parlare di numeri. Uomini e donne, se non vi ribellate per la vita miserabile che vi costringono a fare, per i vostri corpi esausti, per i vostri sogni infranti, per i vostri desideri repressi, per le vostre speranze deluse, fatelo almeno perché 2+2 è uguale a 4. Talmente facile da capire che il consenso è assicurato.
Già la matematica non è un’opinione — figurarsi un’idea! Non è qualcosa di singolare, di individuale, che si possiede dopo averla scoperta e fatta maturare. È qualcosa di comune che abbiamo imparato a scuola. 2+2 fa 4 per il reazionario come per il sovversivo, per il credente come per l’ateo. Non divide le sensibilità, unisce i ricordi. Ecco perchè questo genere di propaganda impazza fra i vari politicanti, che non mancano di prescriverla ai militanti che fanno loro corteo. Perché non fa pensare ad altro, non mette in discussione nulla in maniera radicale, rimanda a quanto è già in memoria. Al massimo esigerà una nuova verifica al fine di far quadrare i conti.
Simone Weil faceva giustamente notare che, se l’individuo sentisse di non essere solo vittima ma anche complice dell’orrore quotidiano, la sua resistenza conoscerebbe ben altro slancio. Non sarebbe più lo slogan di una rivendicazione, sarebbe il grido di rivolta di tutto l’essere contro la condizione umana. Un grido che diffiderebbe della chiarezza delle cifre, perché non avrebbe nulla da spartire né col sindacalista che si batte per alleggerire il ricatto del lavoro, né con l’ambientalista che si batte per legittimare la menzogna della democrazia. Invece le cifre, se non accompagnano quel grido da umili ancelle tenute in disparte, ma lo sostituiscono, non fanno che prolungare il ricatto e la menzogna.
Ecco perché No Tav No Stato. Non per iniziare a «fare ideologia», ma per non finire col fare politica. Del resto, è quasi imbarazzante osservare come questa recalcitranza davanti alle idee anarchiche provenga da chi non si fa alcuno scrupolo a spacciare (o ad avallare, nella speranza che dal letame nascano i fior) ben altro genere di «ideologia». Come se gli appelli a difendere la Democrazia del Bene Comune salendo sulle barricate Stalingrado e Saigon fossero la spontanea e naturale espressione dell’essere umano in lotta per la propria dignità, e non il frutto di una precisa interpretazione di parte. Legittima, sì. Della nostra parte, no.
Ecco perché No Tav No Stato. Perché, piuttosto che accomunarci alle vittime di questo ordine sociale, pensiamo sia necessario riconoscere e far riconoscere che ne siamo tutti complici — chiunque di noi, nessuno escluso. Perché non vogliamo unirci alla rivendicazione a favore di un’autorità più equa, vogliamo lanciare il grido contro ogni forma di autorità.
L’Alta Velocità ce ne offre l’occasione. Non è la follia di qualche squilibrato imposta da poche mele marce ad un Parlamento sovrano, ma distratto. È un progetto perfettamente coerente con il mondo che abitiamo, un mondo in cui ogni singolo aspetto dell’esistenza umana è sottomesso alle esigenze del profitto (ed anche il tempo, si sa, è denaro). Non è affatto un caso che sia sostenuto da tutti i partiti, siano essi di destra o di sinistra, in base al momento e all’opportunità. E non è anomalo che lo Stato lo voglia imporre con il manganello e con i lacrimogeni; chi per i propri interessi non esita a bombardare intere popolazioni, perché mai non dovrebbe bucare la Val Susa o il sottosuolo di Firenze, quando altri esperti giurano che si può fare? Si dice che il Tav valsusino, qualora riuscissero a finirlo, servirà solo per trasportare merci; perchè, ognuno di noi non serve solo per produrle e acquistarle? E lo facciamo, giorno dopo giorno, in silenzio.
Con buona pace di tutti i cittadinisti, l’Alta Velocità non è affatto un grossolano errore dell’attuale organizzazione sociale. Ne è la verità scomoda e brutale. Ecco perché, anziché contarne e lamentarne gli effetti, dovremmo riprendere a indicarne e criticarne la causa. Non ha senso tacerla. Altrimenti si rischia di contribuire sì alla lotta contro questo Stato, ma non alla lotta contro lo Stato.
21/7/11
Corda tesa
Mentre in Val Susa infuriava la battaglia tra i volontari accorsi in difesa della Libera Repubblica della Maddalena e i pretoriani inviati ad imporre la Schiava Repubblica d’Italia, a Roma un rogo notturno distruggeva la nuova sala operativa della stazione Tiburtina (snodo Tav) mandando in tilt il traffico ferroviario nazionale. Immediato il sospetto che potesse esistere un legame fra le proteste valligiane e l’incendio metropolitano, immediata anche l’indignazione e la smentita del «Popolo NoTav» per bocca dei suoi pubblici rappresentanti, tardive e poco convincenti le assicurazioni istituzionali sulle probabili cause naturali del fatto: un cortocircuito, ben difficilmente un sabotaggio, magari l’effetto collaterale del solito furto di cavi.
Lucciole e lanterne
Alta tensione ovunque
Contro la normalità
Il Tav, è chiaro da tempo, non è solo un treno ad alta velocità, è anche l’emblema di questo mondo fatto di merci, del sempre più veloce, del profitto ad ogni costo, dello sfruttamento nei confronti degli individui e della natura. Per questo forse la protesta contro di esso è una protesta così sentita. Perché spinge a vedere la totalità delle cose, il filo che lega tutte le questioni. Una linea ferroviaria che si vuole realizzare a scapito di chi vive i luoghi in cui verrà costruita, rovinandogli l’esistenza per decenni, occupando quei posti per renderli un cantiere protetto da filo spinato e check point militari. Una sorta di minimondo riproducibile ovunque, passando sopra le persone, i corpi, i sogni, in due parole la vita di ognuno. Ma se a riprodursi e moltiplicarsi è anche la protesta allora tutto può cambiare. Ed è quello che sta accadendo in tutta Italia, con squarci anche in Europa. C’è la consapevolezza, chiara o intuita, che ciò che è in ballo è molto di più della realizzazione del Tav in Val Susa. Perché mentre si lotta si ha bene in mente che la solidarietà è quasi sconosciuta tra chi vive i suoi rapporti nel mondo attuale. Che la devastazione dell’ambiente sta raggiungendo un punto di non ritorno (o forse lo ha già raggiunto), in tutto il pianeta. Che la militarizzazione dei luoghi in cui viviamo, dalle città alle valli, sta per soffocarci. Che il regime democratico, anche quello dal volto pulito o tecnico è un cane da guardia, feroce e assassino.
Ciò che si ha in mente è questo ordine di cose, iniquo e insopportabile.
Dopo la caduta di un anarchico da un traliccio in Val Susa, solidarietà e complicità sono andate estendendosi. Non importa dove; ciò che ribolle nelle vene è spontaneo e più immediato di qualsiasi riflessione o analisi. Una pressione e un’agitazione diffusa sono linfa per la lotta contro l’alta velocità ma anche per tutto ciò che è in ballo. Gli schemi tuttavia non rappresentano una valida bussola da seguire. Agire da individui in fondo è fare ciò che ci si sente di fare, in Val Susa come altrove, da soli o insieme agli altri.
La discussione può essere sempre d’aiuto anche quando è opportuno essere tempestivi. La polemica, a volte un po’ tarata, al contrario non muove gli animi, li appesantisce.
1/3/2012
Viaggio al Quirinale
Non resta ormai che prenderne atto. La situazione di stallo che si è venuta a creare in Val di Susa è senza vie d’uscita. Chi pensava che un nuovo governo, una volta epurato da papponi e maroni, potesse assumere un atteggiamento diverso nei confronti delle rivendicazioni valsusine si è dovuto arrendere all’evidenza dei fatti. Lo Stato, quale che sia il governo che lo amministra, vuole a tutti i costi la costruzione dell’Alta Velocità in quella vallata piemontese. La popolazione interessata, nella sua stragrande maggioranza, la rifiuta categoricamente. Non c’è margine per nessun dialogo, per nessun confronto. Eppure così non si può andare avanti, questo nodo deve essere sciolto.
Si può fare. Ecco perché assume grande importanza la richiesta che verrà avanzata domani 6 marzo da parte del movimento NoTav di un incontro con il Presidente Napolitano. Richiesta che ci ha colpito per il coraggio e la determinazione. Naturalmente questo incontro si risolverebbe in una buffonata se la delegazione della piccola libera Repubblica si limitasse a chiedere alla massima carica della grande Repubblica schiava di intercedere in proprio favore. Manco i ribelli valsusini fossero nipotini scapestrati che chiedono al nonno buono di mettere una buona parola presso mamma e papà cattivi per far tornare la pace in famiglia. E sarebbe una vera cialtroneria se questa delegazione si appellasse davvero nella neutralità dell’uomo del Quirinale (il cui ruolo nella caduta del governo precedente è andato ben al di là della mera registrazione notarile degli avvenimenti). Insomma, il Quirinale rappresenta lo Stato, quello stesso Stato che promette di devastare la Val di Susa. Ma allora, fuori dalla dabbenaggine, qual è la ragione di un simile incontro?
Una ragione c’è, eccome. Coerenti con la propria fama di persone sensate e ragionevoli, rispettosi delle buone maniere, è giusto che i valsusini si rechino al Quirinale per annunciare l’unica risoluzione possibile di questo ginepraio. In una parola, la secessione. Secondo i dizionari politici, essa è «il distacco di un gruppo da un altro precedentemente esistente». È infatti evidente la presenza in Val di Susa di tutti gli elementi che possono determinare la secessione, la quale trova le sue ragioni quando l’organizzazione statale è rigidamente centralizzata e un gruppo sociale al suo interno vede la politica del governo centrale tesa alla mortificazione e alla distruzione del proprio volere.
Nessun dialogo, nessuna richiesta di comprensione, tolleranza o grazia. Solo la formale espressione della definitiva separazione da questo Stato, infame come solo uno Stato può esserlo. Sarebbe l’occasione giusta per togliere gli amministratori valsusini dall’imbarazzo in cui da anni si dibattono. Deve essere tremendo vivere sulla propria pelle la contraddizione di essere, al tempo stesso, rappresentanti della popolazione valsusina e funzionari dello Stato. Tirati per la giacchetta da entrambe le parti. La secessione porrebbe fine ai loro mal di pancia. Ed i ribelli valsusini non dovrebbero nemmeno attendere le prossime elezioni per mandare a casa chi li ha traditi.
Secessione, ora e subito. Tutte le istituzioni statali devono lasciare la Val Susa. Tutti i loro beni devono essere requisiti e messi a disposizione di tutti. Niente più sovvenzioni da chiedere, ma nemmeno più tasse da pagare. Autodeterminazione. E poiché il movimento NoTav si vanta di essere orizzontale e senza leader, la riorganizzazione del suo territorio non potrà che possedere queste medesime caratteristiche. Da questo punto di vista, c’è l’intero patrimonio del pensiero antiautoritario da saccheggiare (e quello del pensiero autoritario da gettare alle ortiche).
Secessione, ora e subito. Una decisione che, ricambiando i tentativi istituzionali di seminare zizzania evocando l’esasperazione dei molti (?!?) SìTav locali, costituirebbe un irresistibile richiamo della foresta per la base — cafona, ma sanguigna — di quello che si pretende il maggior partito del nord Italia. Impossibile opporsi ad una secessione proclamata a due passi da dove nasce il dio Po! Si può solo sostenere con entusiasmo, contro i vertici di ogni partito. E magari imitare.
Ovviamente, i processi di secessione sono spesso caratterizzati dal ricorso alla violenza, la cui intensità dipende dalla reazione del governo centrale. E le truppe di occupazione stanno già presidiando quei luoghi. Con la secessione, esse diventeranno invasori a tutti gli effetti. Si tratterà quindi di organizzarsi per buttarle fuori una volta per sempre. Come, è spiacevole quanto inutile dirlo. D’altra parte per i valsusini non c’è scelta: meglio smettere di essere pacifici che smettere di essere NoTav.
Secessione, ora e subito. È questa la sola ragione di un viaggio al Quirinale.
5/3/12
La Val Susa è dappertutto!
Questo è lo slogan che si è sentito echeggiare nei giorni scorsi per le vie di alcune città, e non abbiamo potuto che condividerlo. Crediamo che una simile affermazione non sia solo uno slogan retorico, ma una verità lapalissiana. Opporsi alla realizzazione di una linea ferroviaria per un Treno ad Alta Velocità (TAV) in Val Susa equivale, infatti, ad opporsi ad una qualunque delle innumerevoli nocività che il dominio globale, sotto la maschera della democrazia, tende ad imporre in ogni luogo. Sotto questo aspetto moltissime località hanno davvero ben poco da invidiare, stritolate come sono tra distese di campi fotovoltaici ed impianti eolici, centrali energetiche di ogni tipo e discariche, inceneritori e rigassificatori, e tanto altro ancora.
Alla luce di ciò, quella che è in gioco in Val Susa non è solo una guerra dello Stato contro i suoi cittadini di una zona ben determinata – e quando a difendere un cantiere ci sono i militari che tornano dall’Afghanistan, parlare di guerra è assolutamente preciso – ma una vera e propria prova di forza con cui lo Stato, nella forma di qualunque Governo, tende a imporre dall’alto le ragioni dell’economia sulla testa dei propri sudditi che, in quanto sudditi, devono solo accettare di obbedire. Con le buone o con le cattive. Laddove non basti il ricatto occupazionale, interviene il manganello; qualora non siano sufficienti le compensazioni economiche, saranno più chiare le sbarre delle celle.
Questo è il monito che assume carattere generale, questa è la posta in quella valle: la possibilità di interporci in prima persona tra l’imposizione di una nocività – sia essa ambientale, economica, sociale – e la sua realizzazione. Di tutto ciò sono ben consapevoli anche tutti i politici ed i Governi, ed è per questo che non possono accettare di arretrare; sanno benissimo che in gioco non c’è solo la possibilità di praticare una galleria in una montagna, ma l’intera credibilità del sistema della politica. Una vittoria della contestazione potrebbe rinfocolare ovunque l’opposizione a scelte calate dall’alto, e questo aprire scenari che potrebbero essere devastanti per la politica, qualora ci si rendesse conto che essa, e la democrazia che se ne fa portatrice, non è dalla parte della gente, ma esattamente contro. In poche parole, potrebbe aprire squarci di libertà, di quella vera, non quella scritta, morta, che giace nei nomi dei partiti e sulle loro bandiere. E la libertà, una volta assaporata, ha un gusto troppo dolce per tornare a rinunciarvi.
Allargare la lotta contro il TAV ovunque, quindi, al di là degli appuntamenti ufficiali, è interesse primario di tutti coloro che anelino alla libertà, oltre che lotta per sconfiggere le mortifere nocività che, ovunque, il potere vuole imporre contro le nostre vite e nell’interesse esclusivo dei soliti accaparratori e profittatori. Che in Val Susa come altrove, hanno sempre gli stessi volti.
11/03/2012
Provocatori
Una settimana fa, nella notte tra domenica 25 e lunedì 26 marzo, qualcuno ha appiccato il fuoco ad una centralina elettrica sulla linea ferroviaria fra Lambrate e Rogoredo, nei pressi di Milano. Mancavano solo due giorni all’anniversario della morte di Baleno, Edoardo Massari, l’anarchico arrestato con l’accusa di essere uno degli autori dei sabotaggi contro l’alta velocità in Val Susa e suicidato qualche settimana dopo in carcere nel lontano 1998. Qualcuno ha voluto ricordarlo, lui come Sole – ribelli scomparsi che a modo loro hanno contribuito ad accendere gli odierni sommovimenti valsusini.
Ma il piccolo atto di sabotaggio compiuto una settimana fa, accompagnato da alcune scritte contro il Tav, ha causato un certo disagio. A chi? Passi per le Ferrovie dello Stato che hanno lamentato ritardi nella circolazione dei treni. Passi per i viaggiatori che non hanno gradito di veder rallentato il proprio trascinarsi quotidiano. Ma che dire di quegli oppositori dei padroni delle ferriere che possono vantarsi di aver portato la lotta NoTav fuori dalla selva oscura della rivolta per trascinarla nell’illuminata agorà – piazza e mercato al tempo stesso – della politica? Puntualmente si sono affrettati ad evacuare un comunicato di dissociazione* diffuso a nome di un tal Movimento che in circostanze del genere assomiglia decisamente più ad un Partito o ad una Organizzazione.
Infatti un movimento sociale degno di questo nome, che per di più si pretende senza leader e senza Comitati centrali (visibili o invisibili che dir si voglia), dovrebbe comprendere al suo interno tutti coloro che ne condividono il fine liberatorio immediato, senza discriminazione alcuna sui mezzi. Se davvero fosse composto da una molteplicità di sfumature, rispettose le une delle differenze delle altre, a nessuna delle sue parti verrebbe in mente e sarebbe concesso di decidere la tinta unita a cui omologarsi. Contro il Tav – si sente dire – si dovrebbe poter recitare preghiere e tirare bestemmie, sussurrare e urlare, passeggiare e correre, difendersi e attaccare. Ed invece, ecco spuntare imperturbabile il solito ceto politico che si affanna a fare fronte contro i «provocatori» che non rispettano le «metodologie di lotta popolare fatte alla luce del sole» (linguaggio vetero stalinista quanto mai rivelatore). Ma chi lo dice che quelle metodologie sono l’unica e legittima espressione di un intero movimento? Già è irritante la costante preoccupazione di farsi benvolere dall’opinione pubblica quando si tratta di fatti che accadono in valle (come l’incendio dei veicoli della Italcoge di Susa nel luglio scorso), ma ora si è arrivati a tracciare linee di condotta anche per chi vive altrove. Senza che la cosa abbia suscitato un dibattito di qualche rilievo. Silenzio, nell’agorà tutto tace.
C’è chi si dissocia dal disordine dell’attacco singolare per dedicarsi all’organizzazione dell’acchiappo collettivo. E c’è chi mantiene in proposito un riserbo giustificabile solo in nome della Ragione del controStato. Nonostante le chiacchiere interessate ma assai poco interessanti, è bastato il piccolo fuoco divampato fra le rotaie meneghine per mostrare la grande differenza che intercorre fra la percezione che il tav è ovunque e l’intenzione di portare la valle in città. Nel primo caso viene identificato il nemico, se ne mostrano i lineamenti e l’onnipresenza sul territorio al fine di metterlo alla portata delle attitudini di chiunque. Nel secondo invece si pubblicizza un modello giudicato vincente, pretendendo di imporre le «metodologie di lotta popolare fatte alla luce del sole». A scapito di chi, è facile capirlo: di chi intende partire, agire e tornare in ordine sparso, a seconda dei propri gusti. A beneficio di chi, non ci sembra più superfluo aggiungerlo. Di quella politica portata avanti dagli strateghi diversamente repubblicani che, nel loro delirio d’onnipotenza, si son messi in testa di poter dettare a tutti ed in tutta Italia, non solo in una vallata piemontese, le istruzioni pratiche del conflitto — ovvero il chi, cosa, come e quando. Ma le pecorelle, non stavano dall’altra parte della barricata?
1/4/12
* notav.info/top/incendi-dolosi-e-scritte-no-tav-comunicato-sta…
La Francia ci dà ragione?
Arruffapopoli
Verticalismi
L’identificazione del nemico. Questo sarebbe, secondo un recensore, uno dei meriti della lotta contro il TAV in Val Susa e del libro che quella lotta racconta, ovvero “A sarà düra. Storie di vita e di militanza NoTav”, edito da Derive Approdi e curato dal centro sociale Askatasuna di Torino. Ammesso che questo sia realmente un merito del libro, le serate di presentazione che si tengono in giro per l’italico stivale non sono da meno, nel senso che, anche nel corso di queste, qualche nemico è possibile identificarlo. Nemici della libertà individuale, per esempio, da riconoscere in coloro che ci spiegano come la lotta in generale, ed in Val Susa in particolare, per raggiungere i suoi scopi non possa mai essere portata avanti, fino in fondo, in maniera orizzontale. Ci spiegano, i militanti, come ad un certo momento sia assolutamente necessaria una verticalizzazione delle lotte, un momento in cui alcuni prendano per la testa le lotte ed i movimenti che le portano avanti, e le guidino verso la vittoria, verso risultati politici che altrimenti non potrebbero essere raggiunti. Nella pratica ciò è possibile costituendo una sorta di organizzazione leninista.
Come conseguenza di tale modo di guardare alle lotte, ed alla vita, in una serata nel Salento il militante che presentava il libro ha affermato che, naturalmente, quando accadono episodi che si ritengono dannosi per il proseguimento delle proteste – dannosi nella loro stessa essenza oppure perché il contesto sociale non è ancora pronto ad un tale livello di scontro – è giusto che il movimento prenda le distanze; tutto ciò dopo essersi dilungato su quanto sia variegato questo movimento, e sulla bellezza di questa pluralità di componenti, che ne esprimono la ricchezza. A questo punto una giusta domanda è stata rivolta: come fa, il movimento, nella pratica, a decidere di dissociarsi da qualcosa che non condivide, essendo così variegato? Si fa una assemblea fra tutte le componenti? La risposta è stata che non si è ad un tale grado di formalismo, quindi ci si sente tra un po’ di persone che siano riconosciute dal movimento, e si prepara il comunicato. Non è dato sapere, purtroppo, e ragioni contingenti hanno impedito di approfondire, cosa significhi essere riconosciuti dal movimento… Che sia qualcosa che si acquisisce per prossimità territoriale? In base alle iniziative a cui si partecipa o in base alle ore di militanza spese in valle? Magari qualcuno avrà modo di approfondire in una delle prossime presentazioni.
Alla luce di quanto affermato sull’essere pronti ad un certo livello di scontro, è stato curioso ascoltare dal militante in questione come lui stesso abbia dovuto salvare, dopo la caduta di un compagno da un traliccio, un giornalista dalle grinfie di alcuni vecchietti particolarmente ostili: la loro ostilità, non era forse segno della maturazione e del raggiungimento del livello di scontro idoneo a quello che era il loro proposito? Certo, chi parlava non poteva ammettere che quella mossa sia stata frutto di mero calcolo politico, tenuto conto della convinzione di poter sfruttare – seppure con pochi margini, come ammesso – la presenza dei giornalisti in Val Susa, ragion per cui è stata mossa una critica a coloro che, con dogma quasi religioso, sono ostili a queste figure. Senza che fossero nominati chiaramente, qualcuno in sala ha avvertito un certo riferimento agli anarchici.
Riferimento che appariva tutt’altro che velato nella critica a chi non condivide la formula della rappresentanza, mentre si tessevano invece le lodi e la giustezza del condurre la lotta anche su questo fronte. Una lotta, è stato affermato, portatrice di frutti notevoli, quale l’elezione di un NoTav come presidente della Comunità Montana, e la vittoria di liste civiche NoTav contro liste congiunte PD/PDL in alcuni comuni della valle. Forti di ciò, le imminenti elezioni politiche sono un momento a cui, a dire del militante, il movimento NoTav guarda con attenzione…
Un richiamo al passato per capire il presente. Nel corso della serata non si è potuto fare a meno di parlare degli inizi della lotta contro il Tav in Val Susa; grande enfasi è stata data al fatto che si sia riusciti a raggiungere mobilitazioni di massa in una lotta iniziata da appena un paio di studiosi, e poco più, molti anni fa. La presenza in sala di qualche vecchio con la memoria non completamente sbiadita ha fatto notare che, circa 15 anni fa, c’erano anche altri oppositori al Tav, che avevano iniziato un percorso di lotta con una certa lungimiranza, pagando anche duramente. Due di loro, chiamati Sole e Baleno, addirittura con la vita. A tale osservazione, il militante ha risposto che ora, a distanza di anni, quella storia è stata, in un certo senso, assimilata e digerita dal movimento, ma che a suo tempo quei fatti hanno impedito e bloccato, per un paio d’anni, la prosecuzione di un percorso di lotta. E comunque, a lui, quella storia non era ancora chiara… Anche su questa chiarezza non è stato possibile approfondire, ma l’insinuazione lasciava aperta ogni possibilità su chi fossero davvero questi due che sono morti, o sulla possibilità che fossero manovrati da qualcuno, oppure… Mors tua, vita mea: la lotta fino alle estreme conseguenze di alcuni compagni è terreno su cui si edifica la lotta politica dei militanti.
Ma in fondo, oggi, tutto ciò non conta più nulla: il movimento è cresciuto ed ha in sé chi pretende di autocandidarsi alla sua guida. La memoria storica può essere seppellita e giacere insieme a coloro che non ci sono più. Requiescat in Pace.
22/02/2013
Neve
Guardie e ladri
Dal finestrino
Il fischio del capotreno, l’allarme sonoro delle porte che si chiudono. Stiamo partendo. Il treno avanza lentamente, lasciandosi alle spalle la stazione. C’è una enorme metropoli da attraversare prima di sbucare nella campagna. Non ho voglia di leggere, non ho sonno: guardo fuori dal finestrino. Lo sguardo vaga per un po’, poi la mia attenzione si concentra su quanto si può vedere lungo i binari. Lunghe mura e poderose colonne colorate con disegni, riempite di scritte. Ce n’è per tutti i gusti. Dichiarazioni d’amore, sfoghi, sigle, tifo sportivo. Talvolta compaiono slogan dal suono familiare: “Liberi tutti”, “No Tav”, “Bloccare tutto”…
Vattimix in Val Susa
Cinto con l’alloro dell’europarlamento, anche il celebre filosofo del pensiero molle Gianni Vattimo è giunto a bagnarsi all’acquasantiera valsusina. Inchinatosi alla Valle-che-resiste, tutti i suoi peccati gli sono stati naturalmente mondati. Perché grande è la grazia del Movimento NoTav. Dopo il rito di accettazione, al filosofo è stato dato un nuovo nome ed ha potuto rendersi immediatamente utile. Così Teresio Vattimix ha distribuito qualche briciola del suo sommo sapere nel corso di cene filosofiche a cui erano invitati perfino gli zotici valligiani.
Noi preferire voi incazzati
In questi giorni il signor Movimento No Tav è sull’orlo di una crisi di nervi. Non stiamo parlando naturalmente di tutti coloro che in Val Susa si battono contro l’Alta Velocità, ma di quei pochi, pochissimi fra loro che pretendono di decretare la linea di condotta di questa lotta. Il signor Movimento No Tav si è stizzito per le critiche che gli sono state fatte a proposito del suo recente reclutamento di un neuroparlamentare distintosi all’epoca della morte di Baleno e Sole nel gettare fango sui compagni. Per mettere “i puntini sulle i” ha diffuso i ragionamenti che gli salivano in mente mentre stava camminando trascinandosi. Innanzitutto che la sua lotta No Tav va difesa, non criticata. Non esiste la perfezione, può essere bella o brutta e va amata comunque perché così è la vita e poi, diciamolo, tutto il resto è noia. Suvvia compagni, se il signor Movimento No Tav accoglie delatori, amatelo e difendetelo. Se invita magistrati, amatelo e difendetelo. Se rincorre politici, amatelo e difendetelo. Non esiste la perfezione, c’è il bello e c’è il brutto, così è la vita, basta solo che non ci sia la noia della critica e dell’azione autonoma.
Quel che non fanno i compagni
Troppo bello per essere vero, non poteva durare a lungo. Ed infatti è durata solo un mesetto la tregua del signor Movimento No Tav con la propria smania dissociazionista.
Nessuna legittimazione
Sabotaggio, bene comune?
Sputa (sulle) sentenze
Lo scorso 17 dicembre il Tribunale di Torino ha condannato in primo grado a 3 anni e 6 mesi di reclusione i quattro sabotatori NoTav rei di aver partecipato, nella notte fra il 13 e il 14 maggio 2013, ad un assalto al cantiere di Chiomonte conclusosi con l’incendio di alcuni macchinari. Se il verdetto di condanna era scontato, dato che nel corso delle udienze i quattro compagni avevano apertamente rivendicato la loro responsabilità nei fatti, lo era assai di meno la sua entità. Il tribunale si sarebbe “limitato” a condannare il «danneggiamento aggravato, la violenza a pubblico ufficiale ed il porto d’arma da guerra» o avrebbe accolto anche l’aggravante di «terrorismo»? Ebbene, per questi giudici di Torino sabotare l’Alta Velocità – per lo meno in questo contesto – è sì un atto illegale da punire, ma non un atto di terrorismo.
A stormo!
A caccia di stelle
Sono passati diversi anni da quando andavano a caccia di rivoluzionari nelle metropoli del paese, insieme. Uno scorrazzava a Torino, l’altro a Roma. Servitori dello Stato, portavano al loro padrone le teste mozzate di chi osava attaccarlo e morderlo. Era il loro lavoro e il loro dovere, ma un po’ anche la loro passione: inseguire le tracce, braccare, stanare, impallinare. Quanti trionfi nello sterminare quel branco di lupi feroci che avevano la pretesa di vivere nella libertà della foresta anziché nello zoo della città!
Poi, estinta o quasi quella fauna così pericolosa, le loro strade si sono divise. Hanno continuato a frequentarsi, naturalmente, ad addestrare assieme altri cacciatori, più giovani ed inesperti, ma nsomma… sapete com’è, gli anni passano per tutti.
I buoni di Natale
Dicembre è un mese birichino. Comincia come tutti gli altri ma poi, inutile nasconderlo, assume un’aria frizzantina tutta particolare. È il mese delle festività, dei doni, il mese di Natale e dell’ultimo dell’anno. Il mese in cui tutti sono un po’ più buoni. Dai, siamo a Natale. È nato Gesù il caritatevole, ricordate? Massì, nella stalla proletaria, il figlio di Dio-padrone riscaldato dal bue-popolo e dall’asino-ignoranza… Non sentite anche voi l’irresistibile bisogno d’essere più buoni? Chissà che non sia anche per questo che lo scorso 17 dicembre il Tribunale di Torino ha respinto l’aggravante di «terrorismo» nel condannare i quattro compagni sabotatori No Tav. Perché siamo a Natale, e bisogna essere più buoni.
Les gentils de Noël
Per l’appunto, quello che ci stupisce ancor di più è il silenzio dei compagni e delle compagne anarchici. Restare in silenzio significa lasciare che le cose seguano il loro corso (e prendere la posizione più facile). In un caso come questo, ciò vuol dire avallare il comportamento di qualcuno che indica alcuni compagni come autori di reati precisi. Se vogliamo farla breve, i redattori di Finimondo vengono indicati agli sbirri, pubblicamente e nell’indifferenza generale. Per essere più precisi, vengono lasciati soli da altre parti del movimento anarchico nel momento in cui qualcuno li accusa di aver detto e fatto quello che ogni anarchico dovrebbe dire e fare.
La soluzione finale al problema etico
Cominciamo con quello che si potrebbe definire il problema conclusivo alla costruzione di una situazione, l’amara vittoria della teoria situazionista tramutata in pensiero situazionale. Mezzo secolo fa una situazione era definita come un «momento della vita, concretamente e deliberatamente costruito mediante l’organizzazione collettiva di un ambiente unitario e di un gioco di avvenimenti». Lo scopo di questo momento esistenziale era quello di spezzare la grigia obbedienza imposta dall’esistente, ovvero farla finita con tutte le separazioni per raggiungere la totalità dell’essere. Non era l’apologia del frammento licenzioso concesso dal tempo presente, ma l’esatto contrario: l’apologia della pienezza liberatoria strappata nel tempo storico.
Sui binari
Pubblichiamo qui sotto uno scritto redatto da alcuni dei compagni perquisiti in seguito agli incendi scoppiati alla fine di dicembre, prima a Firenze e poi a Bologna, a danno dei cavi del sistema di controllo della linea ad Alta Velocità. Lo pubblichiamo volentieri perché contribuisce a riportare sui binari una discussione che — complici certamente i tromboni della grande stampa, ma pure pesanti e diffusissime fisime di movimento — era deragliata ancor prima di nascere. E le discussioni, quando deragliano, ottengono il contrario di quello che dovrebbero ottenere: avvenimenti altrimenti limpidi si ritrovano sommersi da una àura di sospetto e di mistero posticcia; ipotesi, proposte e chiavi di lettura dei fatti, anziché essere esposte e difese, o criticate, si ingarbugliano sino a risultare incomprensibili ai più; idee complesse e sfaccettate si irrigidiscono, perdendo di ricchezza fino a diventare mantra parrocchiali buoni per ogni occasione; la foga polemica si trasforma in affermazioni delatorie, con dolo o colpa che sia comunque vergognose e inaccettabili.
E pure, da quegli incendi di Natale di riflessioni interessanti se ne posson ben cavare: una occasione da non perdere se la discussione, tornata sui binari, proseguirà. A chiudere, vi abbiamo raccolto sommariamente i link a quanto abbiam trovato scritto in queste due settimane sull’argomento, condivisibile o meno, interessante o meno, doveroso o sostanzialmente inutile, in ordine cronologico inverso. Con una accortezza, però: di ogni contributo ne abbiam fatto un Pdf. La gradevolezza alla vista ne risente, e di molto, ma nessuno potrà cambiare le carte in tavola.
Macerie
Riportiamo il discorso sui binari
I fatti avvenuti il 21 dicembre a Firenze e il 23 a Bologna hanno avuto un grande risalto mediatico a livello nazionale e in tanti hanno sentito l’esigenza di prendere parola, lanciandosi in più o meno fantasiosi voli pindarici, per cercare di analizzare e spiegare gli eventi. Dal momento che da più parti -sbirri, media e non solo- siamo stati chiamati in causa (vedi perquisizioni, dichiarazioni, allusioni…) ci sentiamo di dire la nostra per provare, con un po’ di lucidità, a ri-centrare il discorso e a riportarlo sui binari.
Partiamo dai fatti: tutti abbiamo letto di cavi del sistema di gestione e controllo del traffico ferroviario incendiati nei pozzetti accanto ai binari e, nel caso di Bologna, di scritte no tav in vernice verde (diverse dalle tag “tau” ) su un muro lungo i binari.
La conseguenza: treni AV con enormi ritardi o soppressi e anche treni di altre categorie (anche perché le Ferrovie, pur di ridurre i ritardi delle frecce, posticipavano la partenza dei regionali sfruttandone le linee).
Tempistiche: qualcuno può vedere la vicinanza dei fatti con il giorno di Natale, e dispiacersene per i passeggeri che hanno subito disagi; questo, del resto, avviene anche per gli sfortunati automobilisti che incappano nei blocchi autostradali, altra pratica spesso usata in valle e a fianco della valle (ci ricordiamo quanto avvenuto in tutta Italia dopo l’indotta caduta di Luca Abbà dal traliccio da parte degli sbirri?). Qualcun altro, invece, può rintracciare la vicinanza dei fatti con la sentenza di primo grado che ha portato alla condanna di 3 anni e 6 mesi Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò, seppur contestualmente alla loro assoluzione dal reato di terrorismo. Lo stesso reato, pochi giorni prima, era stato contestato anche a Francesco, Graziano e Lucio in carcere per gli stessi fatti, con conseguente inasprimento delle misure detentive.
Al di là dei commenti di politicanti vari che hanno subito soffiato sul fuoco per alimentare letture farcite di terrore, e delle tesi complottiste che si sono fatte lentamente strada anche tra i nemici del tav, ci piacerebbe riprendere quanto oggettivamente accaduto per tornare a ragionare sulla pratica del sabotaggio. Ai tempi delle prime azioni di sabotaggio in Val Susa alla fine degli anni ‘90, diverse voci erano distanti dal sentire questa pratica come “compagna di lotta”. Nel tempo, forse e soprattutto in seguito all’attacco al cantiere del 13 maggio 2013 e ai conseguenti arresti, molti hanno iniziato a considerarla come tale.
Nella lotta contro il treno veloce si intrecciano pratiche diverse e in questo sta la sua grande forza. Dai picchetti davanti alle aziende ai blocchi stradali, dalle marce popolari alle passeggiate notturne, dalle assemblee popolari alle discussioni serali ai campeggi, dall’apertura dei caselli autostradali all’imbrattamento delle sedi dei partiti del tav, dalle azioni di attacco al cantiere agli attacchi incendiari e non diffusi in tutta la penisola contro le aziende del tav, dal blocco dei treni AV nelle stazioni di mezza Italia -e non solo- al blocco delle linee ferroviarie attraverso azioni di sabotaggio di vario genere. Esatto, anche il sabotaggio fra queste pratiche, fra i metodi che un movimento coeso ma plurimo ha fatto proprie. Allora perché volersi girare dall’altra parte e chiamare le cose con un altro nome ora? Terrorismo? Servizi segreti? Vandalismo? Neofascisti? Furti di rame?
Il sabotaggio è stata una pratica di base nella storia dei movimenti di lotta e rivoluzionari. Di volta in volta è servito ad inceppare dei meccanismi, fossero essi di sfruttamento, di produzione, di reclusione, nocività ecc. Qui ed ora ne stiamo parlando nei termini di una pratica che mira a danneggiare ciò che fa parte del sistema di funzionamento di una macchina economica e politica che in questo caso è rinchiusa nelle vesti di un treno che si vuol far passare per quella montagna. Un treno che prima di arrivare in Val Susa ha attraversato mezza penisola, distrutto interi territori (pensiamo agli effetti ambientali oltreché economici che i cantieri del TAV hanno avuto -e si apprestano ad avere- al Terzo Valico, nel bresciano, in Trentino, nel Mugello, oltreché dove sono state realizzate le grandi nuove stazioni) e fruttato fior di quattrini ai soliti noti.
Tanti e tante provenienti da ogni dove in questi anni hanno partecipato a giornate di lotta contro il tav in valle (ricordiamo ad esempio il 27 giugno e il 3 luglio), così come ne hanno organizzate a casa propria in seguito ad appelli arrivati dalla Valle, ma anche per propria spontanea volontà. Tanti e diversi sono stati i contributi che, in ogni dove, si sono fatti sentire a fianco dei valsusini in lotta e di chi, per quella lotta, stava e sta pagando con la privazione della propria libertà. Dal famoso “portiamo la Valle in città”, lo slancio partito con la pratica dei blocchi ha contagiato i solidali di ogni dove che hanno dato così un senso concreto a quelle parole, uscendo dagli slogan ed entrando in autostrada. Dopo gli arresti per il sabotaggio al cantiere di Chiomonte nel maggio 2013 il ragionamento si è ampliato, e come qualcuno ricordava in un bell’opuscolo appositamente redatto, “siccome le parole, quando scaturiscono da un’esperienza reale, fatta da individui reali e non già da sembianti, hanno un senso, tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno dello stesso anno ci fu una serie significativa di sabotaggi ai danni delle strutture e delle aziende collegate con l’impresa del Tav”.
Crediamo che ciò che è accaduto parli in modo chiaro e trovi una sua precisa collocazione nel tempo, nello spazio e nelle pratiche di un movimento che lotta contro il tav e che ha sostenuto per oltre un anno i compagni accusati di terrorismo per un atto di sabotaggio contro il cantiere.
A ciascuno le proprie analisi, senza ammettere delazioni e infamie.
E chiamiamo le cose con il proprio nome.
anarchici e anarchiche bolognesi
Slalom NO TAV, tra opportunisti, prestigiatori e sicofanti
Tempo di vacanze. In genere, tutti i governi di ogni Stato approfittano di questi periodi per far passare in sordina le peggio leggi, i peggio decreti, le peggio nefandezze.
In questo mondo all’incontrario è una pratica utilizzata non solo dagli stati, ma anche da coloro che aspirano ad una simile organizzazione sociale. Lo Stato, appunto, con i suoi Ministeri, da quello della Paura a quello della Messainriga passando per quello della Formazione delle Coscienze.
Facciamo un balzo indietro, al finire dello scorso anno. L’antefatto:
Dei cavi che scorrono lungo la linea dell’Alta Velocità, nei pressi di Bologna, vengono dati alle fiamme. “Sabotaggio No Tav” si mormora per le strade, nei bar, lungo i sentieri. “Terrorismo No Tav” sbraita qualche politico, i mass-media riportano ora un termine ora l’altro, a seconda dell’indicazione del proprio padrone. Qualcuno però non ci sta e afferma che NO, un No Tav non può averlo fatto, e se non lui, chi? Ma i servizi segreti, è ovvio. Ma perché afferma ciò?
Perché lo ha dichiarato il magistrato Ferdinando Imposimato [1], ex-gendarme e cerbero di molti rivoluzionari negli anni ’70 e ’80 (come Gian Carlo Caselli del resto), ed ora “sostenitore delle politiche No Tav”;
perché la protesta è genuina se è “spontanea e non violenta”;
perché “nessuno di noi è a conoscenza di azioni come quella di questi giorni”;
perché non è il momento di sabotare visto che l’accusa di terrorismo è caduta per tutti/e i sette No Tav agli arresti;
perché sono cose che accadono lontano dalla valle.
[fonte: http://www.ilsecoloxix.it/p/italia/2014/12/26/ARbpc4zC-sabotaggi_velocita_strategia.shtml]
Queste misere considerazioni sarebbero sufficienti per affermare che un atto di sabotaggio è “strategia della tensione”!
Che diamine, solo un paio d’anni fa, forse tre, si coniava l’espressione, poi divenuta per alcuni/e pratica attiva, di “PORTARE LA VALLE IN CITTÀ” e viceversa.
Solo un paio d’anni fa, forse tre, gli stessi che oggi fanno dietrologia, affermavano da un palco che non è importante venire in Val Susa per lottare contro il Tav, perché il Tav è ovunque.
“IL TAV È OVUNQUE” è un’espressione che non è stata inventata sul finire del 2014, ma alcuni anni fa e, soprattutto, praticata.
Ferdi (al contrario del Carlin) dice che è “strategia della tensione”, e voi scordate la sofferenza di centinaia di ragazzi e ragazze, torturati/e dai suoi sgherri (e da quelli del Carlin e dell’Armand) nelle questure e nelle carceri e gli date credibilità e legittimità?
Sono stati i servizi perché la protesta genuina è non violenta, cioè non deve far male a nessun essere umano. A parte che mi piacerebbe sapere il motivo per cui io posso perdere un occhio grazie ad un razzo al cs sparato ad altezza d’uomo, o sputare sangue per giorni, dalla gola o dalla vagina, grazie a migliaia di lacrimogeni al cs sparati in poche ore, o avere il volto tumefatto per mesi grazie alle sprangate degli sbirri……e i responsabili di ciò devono ricevere da me un trattamento differente, a parte queste mie considerazioni, a voi risulta che sui binari bolognesi qualcuno si sia fatto del male a causa di quell’incendio?
Sono stati i servizi perché noi non ne eravamo a “conoscenza”. Perché, eravate forse a conoscenza dell’attacco al cantiere del 13 maggio 2013 o di altri sabotaggi avvenuti in valle, o altrove? E che differenza c’è tra il cremare un compressore o dei cavi?
È caduta l’accusa di terrorismo, bene, e allora andiamo tutti/e al mare e lasciamo che continuino a devastare quella che adesso è anche la mia Valle?
Possibile che con inchieste e processi ancora in corso, con la quotidiana verifica dell’asservimento dei mass-media al Partito del Tav, con la consapevolezza della generosità di tanti nemici del Tav e non solo, si è ancora così ingenui?
Ma non è finita, perché adesso arriva il peggio, e qui torniamo all’inizio di questo testo, al vero e proprio nocciolo della questione.
Gli aspiranti autocrati a cui mi riferisco, cioè i curatori del sito NOTAV.INFO, per zittire dei loro rivali di web arrivano alla vera e propria delazione. Come differentemente definire la seguente frase in un loro post dal titolo “I burabacio”:
<< […] Ma tanto a loro che importa, gli interessa solo mantenere accesa la fiammella sempre più tenua (la fobia sessista a volte gioca brutti scherzi, n.d.r.) del prossimo gesto individuale che saprà guadagnarsi qualche prima pagina dei tanto disprezzati giornali….fino a qualche annetto fa usavano i loro petardoni postali che qualche rintocco facevano, ora usano qualche straccetto imbevuto di benzina inneggiando alla rabbia generale…chissà che Finimondo! […] >>.
Come si pensa di essere definiti, infami? Collaborazionisti? Sicofanti? Informatori? Merde? Che termine preferite, io li odio tutti.
Quando dite e/o scrivete queste considerazioni, quando le condividete e le diffondete (vedi “Dans Le Rue”, “NoTavGenova” e persino un redattore di Radio Black Out), siete dei pusillanimi.
Antonio Gramsci e Rosa Luxemburg si rivolterebbero nella tomba ad avere degli epigoni simili.
Probabilmente qualcuno/a gli ha fatto notare che “sì, forse, magari, potrebbe essere che stavolta avete cacato a chilometri di distanza dal vasino, esagerato un tantino, che magari qualcuno/a potrebbe davvero essere arrestato grazie alla vostra soffiata”, e quindi loro che fanno? Mettono un cappello su quel post? Si scusano? Avvisano il Ministero della Paura che non volevano affermare ciò che hanno scritto? Nooo, nulla di tutto ciò.
Eliminano dalla Home Page l’articolo in questione, “I burabacio” non si trova più, e quando lo scovi non ha più quel passaggio infame.
Che abilità questi aspiranti leninini, chissà che corsi hanno fatto, o forse le loro arti prestidigitatorie le hanno apprese dalla CMC che, all’indomani del crollo del viadotto sulla Palermo-Agrigento ha fatto scomparire dal proprio sito la pagina dove annunciava la costruzione del viadotto crollato:
oppure lo hanno imparato da quei “rivoluzionari” milanesi che dopo aver ricevuto aspre critiche per l’opuscolo (diffuso il 10 maggio 2014 “in occasione del corteo di Torino in solidarietà ai quattro e a tutti i No Tav sotto processo”, sich), dal titolo “NO TAV, TERRORISMO E CONTRO-INSURREZIONE PARTE 1. WELCOME TO THE TERRORDOME SMONTARE IL DISCORSO SUL TERRORISMO” [link]
lo hanno tolto dalla circolazione e sostituito con un altro pressoché identico dove erano stati tolti (senza scuse, tantomeno autocritiche) dei passaggi davvero osceni, quali “[…] Il discorso antiterrorista cerca di creare confusione, ma per chi lotta quotidianamente, per chi ha i piedi per terra, non è difficile riconoscere quali gesti sono dalla parte della lotta e quali gesti sono di fatto dalla parte dell’ordine, che siano opera di uno sbirro, di un fascista, di un nichilista o semplicemente di un idiota. […]”
Abilità prestidigitatorie sulle quali è bene riflettere.
Situazioni spiacevoli, che aggiungono merda alla merda già circolante.
Qui non si tratta di aver toccato il fondo, e nemmeno di raschiarlo. Qui, notav.info, ha iniziato proprio a scavare.
Un anarchico attivo contro il Tav, ovunque.
Epifania 2015
Straccetti di benzina, stracci politici e delazione
Non essendo particolarmente internettari, abbiamo letto diversi giorni dopo la loro pubblicazione l’articolo redazionale I burabacio uscito sul sito notav.info e il comunicato, pubblicato sullo stesso sito, del magistrato Imposimato a proposito dei recenti sabotaggi avvenuti contro l’Alta Velocità in Italia. Mentre stavamo ragionando di scrivere una critica ai contenuti del primo articolo e al fatto stesso di pubblicare una presa di posizione su cosa fanno o non fanno i no tav da parte di un magistrato (e nemmemo uno qualsiasi, bensì un PM responsabile di aver seppellito sotto anni di galere decine di rivoluzionari), abbiamo saputo che la prima versione de I burabacio(prontamente sostituita, senza dirlo, cercando in tal modo di cancellare le tracce) era ben peggiore. Ci sarebbe piaciuto che le nostre critiche circolassero anche in Valsusa in modo diretto (a voce e su carta), poco interessati come siamo ai “dibattiti” virtuali tra militanti e componenti politiche. Ma la faccenda è così grave da spingerci alla forma-tempo del comunicato in internet, con tutti i suoi limiti.
Nella prima versione de I burabacio, la redazione di notav.info indica i redattori del sito finimondo.org come coloro che “fino a qualche annetto fa usavano i loro petardoni postali che qualche rintocco facevano, ora usano qualche straccetto di benzina inneggiando alla rabbia generale…” (la seconda versione diventa “andavano in estasi per i petardoni postali … e ora per qualche straccetto di benzina …”).
Indicare pubblicamente degli individui quali autori di determinati reati è, a casa nostra, delazione, pratica indegna per chiunque si consideri rivoluzionario o anche solo genericamente “compagno”. Quando si criticano (o si dileggiano) delle pratiche di azione diretta, c’è la polemica, anche dura, anche aspra. Quando si afferma che Tizio o Caio hanno compiuto questo o quel sabotaggio, si fa qualcosa che è semplicemente inaccettabile. “Delazione” non è parola che usiamo alla leggera, ma con quel peso e con quella precisione che scavano fossati tra chi accetta e chi rifiuta un tale modo di fare.
E siccome in queste faccende la precisione è fondamentale, va detto che di quell’articolo sono responsabili i redattori di notav.info (cioè alcuni militanti del centro sociale Askatasuna e del comitato di lotta popolare di Bussoleno), certo non un generico e inesistente “Signor Movimento No Tav”. Ci sono decine e decine di compagni (e non) che nella lotta valsusina contro il TAV hanno messo idee, impegno e cuore, che non si sono mai dissociati da alcuna pratica di attacco al potere e che non hanno mai indicato nessuno – né direttamente né indirettamente – alla polizia.
Detto ciò, e con la consapevolezza che una simile questione non si affronta attraverso un semplice, ancorché doveroso, comunicato, vogliamo aggiungere qualcosa sulle saccenti e sprezzanti parole con cui i redattori di no tav.info parlano dei “fan di due cavi bruciati” o “qualche straccetto imbevuto di benzina”, loro che sanno, dall’alto della loro scienza, che “il sabotaggio è una pratica seria”.
I sabotaggi di dicembre (come vari altri che li hanno preceduti) hanno dimostrato che l’Alta Velcità è un gigante dai piedi di argilla, che può essere bloccato, danneggiato, sabotato anche con mezzi alla portata di chiunque. Proprio come molte delle azioni che sono avvenute in Valsusa. Questo difendere o condannare la benzina (cos’hanno usato i compagni che si sono rivendicati l’attacco al cantiere di Chiomonte? Le bottiglie hanno più “dignità politica” degli stracci, oppure è la “narrazione tossica” dei media che decide quale sabotaggio sia legittimo e quale no?) a seconda dell’opportunismo del momento (che si spinge fino a far da cassa di risonanza a “uno che di terrorismo se ne intende”… come Imposimato) nasconde ben altro timore: quello di non poter centralizzare, e quindi controllare, la lotta contro il TAV. Per quanto ci riguarda, invece, difendiamo i blocchi di massa come le azioni in pochi, le bottiglie contro i macchinari di un cantiere come gli stracci contro i cavi dei Frecciarossa, le manifestazioni tranquille come i sassi contro la sbirraglia, i sabotaggi in Valsusa come sull’Appennino (e cogliamo anche l’occasione per esprimere tutta la nostra solidarietà ai compagni anarchici perquisiti a Bologna).
Questo, e altro ancora, avremmo voluto dire.
Ma l’attacco contro i redattori di finimondo si è spinto ben oltre.
Saremmo antiquati, ma chiamiamo gatto un gatto. E delazione la delazione.
Che nessuno provi a liquidare tutto ciò come “polemica tra componenti politiche”. Ci sono princìpi che vanno difesi come le barricate.
Trento, 6 gennaio 2015
anarchiche e anarchici di Trento e Rovereto
Azione diretta e sabotaggio: E’ il momento di scegliere, senza più esitare!
“Io non possiedo il cervello: solo paglia”
“Come fai a parlare se non hai il cervello?”
“Non lo so. Ma molta gente senza cervello ne fa tante di chiacchiere”
Riteniamo assolutamente necessario prendere la parola in maniera decisa dopo aver assistito a qualcosa che consideriamo inammissibile. Già da tempo trovavamo preoccupante il diffondersi di determinate pratiche all’interno degli ambiti di lotta. Ora non crediamo sia più possibile soprassedere oltre. Ciò che spesso viene spacciato per disputa ideologica o discussione tra punti di vista ha raggiunto la vera e propria pratica della delazione.
Questo è quanto accaduto con la pubblicazione del testo “I burabacio” nei siti notav.info e infoaut.org, in seguito ai sabotaggi avvenuti nel dicembre scorso alle stazioni di Firenze e Bologna. Siti che, sicuramente, non rispecchiano le posizioni dell’intero movimento No Tav, che a sua volta non può avere certo la pretesa di rappresentare chiunque decida di intraprendere un percorso o una singola azione di contrasto all’Alta Velocità e alle nocività.
Da tempo assistiamo alla pubblica diffusione sul web di testi e controversie inquietanti, episodi ritenuti accettabili da alcuni, spacciati come dibattiti dagli autori o considerati in maniera marginale da altri, ora siamo arrivati ad un punto di non ritorno in cui è necessario che ognuno si assuma le proprie responsabilità.
Dalla richiesta di incolumità per un’infiltrata, alle continue dissociazioni e prese di distanza rispetto ad attacchi contro il dominio, inclusi quelli riconducibili alla lotta contro il Tav, fino a tergiversare con tolleranza sulla presenza di collaboratori di Giustizia negli spazi occupati, ecco che si giunge a postare articoli su internet in cui si denunciano pubblicamente presunti responsabili di azioni specifiche (in questo caso i redattori di Finimondo.org, autori del testo “A stormo!”).
Probabilmente il non essere sempre puntuali nell’esprimersi in modo critico riguardo a questi eventi ha fatto si che queste pratiche prendessero campo e scadessero in questo degenero. In nome della strategia politica e di una esasperata ricerca di legittimazione mediatica e sociale, ogni critica radicale all’esistente, espressa attraverso parole e/o azioni, che esula dal già predisposto, viene spesso messa all’indice o, nel migliore dei casi, snobbata.
A dimostrazione di ciò, nel momento in cui gli autori stessi prendono atto della sconvenienza (a proprio svantaggio) di queste degenerazioni vigliacche ed insolenti, di cui si rendono protagonisti, non fanno altro che rivisitare goffamente le proprie parole, negandone la paternità o semplicemente cancellando le parti più gravi dei loro testi, già nati come impellente necessità di pararsi il culo.
Si passa dall’ipocrita ossessione di voler differenziare a tutti i costi gli attacchi che colpiscono solo oggetti inanimati a quelli che coinvolgono anche esseri umani (o presunti tali), giustificando i primi e criminalizzando duramente i secondi; per arrivare alla contraddizione di promuovere una politica che incita, almeno apparentemente, a determinate pratiche (come il sabotaggio) per poi prenderne realmente le distanze, addirittura puntando il dito verso altri.
Proprio perché “il sabotaggio è una pratica seria”, storicamente prassi di chiunque nella storia abbia deciso di mettersi in gioco per combattere una singola ingiustizia come l’intero sistema di dominio, non può essere relegato a diventare oggetto di una campagna specifica, tanto meno necessita di essere legittimato da parte di una qualsiasi assemblea, dall’intellettuale di sinistra di turno o dal politicante di movimento a seconda della convenienza e delle relative manovre repressive.
Riteniamo fondamentale che da ora in poi ognuno si assuma la responsabilità di non far più finta di nulla.
Da parte nostra la presenza delle persone responsabili di delazione (riconducibili ai redattori di notav.info e infoaut.org) ad iniziative pubbliche rimane cosa inaccettabile. A maggior ragione nel momento in cui si arrogano la pretesa di disquisire su sabotaggio, accuse di terrorismo e prigionieri anarchici, come stava per avvenire a Genova il 13 di questo mese.
Ora o in futuro, indipendentemente da dove, si ripresenterà la medesima situazione, continueremo a ritenere la loro presenza non gradita.
Rinnoviamo la nostra solidarietà a chi continua ad opporsi al potere e all’autorità senza mediazioni e pericolosi distinguo.
I presenti all’incontro del 12/01/2015 al Mainasso Occupato, Genova
Infami nel movimento
Udine, 15 gennaio 2015
Prendiamo la tastiera per dire brevemente la nostra su questa questione, sgomenti di fronte al silenzio del movimento. Infatti, fatta eccezione per il sito francese non-fides.fr, per le/i compagn*
trentin* e poch* altr* il silenzio è assordante.
Il fatto: il sito notav.info (gestito da area infoaut) pubblica un articolo redazionale, I burabacio, e il comunicato, pubblicato sullo stesso sito, del magistrato Imposimato (PM responsabile di aver seppellito sotto anni di galera decine di rivoluzionari*) a proposito dei recenti sabotaggi avvenuti contro l’Alta Velocità in Italia. Ne I burabacio (poi vigliaccamente modificato), notav.info indica le/gli autrici/autori di finimondo.org come coloro che «fino a qualche annetto fa usavano i loro petardoni postali che qualche rintocco facevano, ora usano qualche straccetto di benzina inneggiando alla rabbia generale». Notav.info cioè infama delle/dei compagn*, indicandoli agli sbirri, di cui evidentemente si sente collega, come responsabili del sabotaggio No TAV di dicembre a Bologna.
Nel mezzo del più generale delirio complottista e dietrologico, che vorrebbe i servizi segreti o chissà chi autore di tale suddetta azione, in mezzo al più generale delirio pompiere e delatorio,
vogliamo esprimere tutta la nostra solidarietà e vicinanza alle/ai compagn* di finimondo.org e alle/ai compagn* perquisit* a Bologna in seguito all’azione No TAV di dicembre. Condividere il
sabotaggio quando è ormai pratica condivisa in un determinato spazio-tempo lo può fare chiunque, anche chi quest’estate cercava di appropriarsi delle figure di Sole e Baleno all’inaugurazione del
presidio-campeggio a loro dedicato vicino Susa, mentre dalle pagine del proprio giornale nel 1998 l* disprezzava. È troppo facile inneggiare al sabotaggio in Val Susa e augurarsi (per finta) la
generalizzazione sul territorio nazionale della lotta No TAV e poi fuggire spaventati davanti al contrasto fisico dell’Alta Velocità a Firenze e a Bologna. Eh, ma lì ormai il TAV c’è già! E quindi?!
E se anche per quanto riguarda la Val Susa, il Terzo Valico, il Trentino-Alto Adige e il Friuli-Venezia Giulia il progetto AV/AC sarà completato da loro signori speculatori noi che cosa dovremmo fare? Accettarlo?! Guai ad attaccarlo perché ormai c’è già?! Per chi la pensa così evidentemente il sabotaggio in Val Susa non è altro che un feticcio con cui auto-glorificarsi, mentre
la lotta contro l’Alta Velocità ed il dominio tutto se è generalizzata e senza quartiere un mostro da cui guardarsi e da additare ai propri amici sbirri. E soprattutto per noi chi scrive una valanga di merda come I burabacio e chi la condivide non è altro che un infame e come tale va trattato. Di conseguenza, bisognerà muoversi nel procedere della lotta No TAV in Val Susa, per quanto ci riguarda, nella consapevolezza che ci sono degli infami nel movimento. Gli infami e i magistrati non sono meglio degli sbirri e non meglio di loro vanno trattati.
Viva il sabotaggio!
Anarchiche/anarchici
Nota redazionale su “I burabacio”
Pubblichiamo questo post come redazione di notav.info per fare chiarezza su una questione riferibile all’articolo ” I burabacio” pubblicato in data 28/12/2014 su questo sito.
La questione riguarda un errore nell’ultima frase del nostro contributo che in una prima versione poteva lasciar intendere che si volessero attribuire degli atti direttamente ai “quaquaraqua” ai quali è stato dedicato l’articolo. Di questa leggerezza ce ne siamo accorti noi stessi alcune ore dopo la pubblicazione ed abbiamo modificato il testo che potete trovare a questo link
Alcune persone palesemente in malafede ci hanno accusato giorni dopo di aver commesso volontariamente questo errore, utilizzando nei nostri confronti termini talmente inaccettabili da risultare ridicoli, se non subdoli.
Quando erano state persone vicine a chi oggi strumentalizza questo episodio ad additare in rete nomi, tempi e luoghi per attaccare chi aveva (secondo loro) partecipato ad azioni contro il cantiere, un no tav aveva invitato a fare maggiore attenzione a quello che si scriveva(qui l’articolo). In quel caso, però, nè gli autori della “svista” avevano cambiato il testo, che è tuttora in rete tale e quale, nè i loro affini avevano ritenuto fondamentale una simile levata di scudi. Strano!
Ci sembra chiaro che questa vicenda sia stata trattata da questi personaggi in maniera strumentale e che il vero problema sia la critica che viene fatta nell’articolo alla predisposizione di alcuni ad anteporre i propri interessi politici ed ideologici a quelli del Movimento No Tav pur cercando in esso, in seconda battuta, la legittimazione pubblica di tale agire.
Ora come movimento dobbiamo concentrarci sulle prossime date di mobilitazione che ci vedranno impegnati e dedicare le nostre energie ad individuare e praticare quelle forme di lotta che, portate avanti in maniera collettiva, ci permetteranno una volta in più di contrastare la macchina del Tav e tutto il sistema di interessi che ci sta dietro.
Permetteteci però di chiudere con una promessa. In tutti questi anni di intensa lotta abbiamo resistito ad un attacco senza precedenti portato avanti dalla politica dei palazzi, dai mezzi di informazione, dall’azione della magistratura e lo abbiamo fatto senza fare mai un passo indietro, cercando anzi di rilanciare la nostra azione ogni qualvolta è stato possibile. Ciò che sappiamo, quindi, è che non saranno di sicuro delle miserabili accuse a distrarci dal nostro cammino.
Notav.infam
No Tav – Riguardo una malsana pratica inaccettabile
E’ innegabile che il mezzo di comunicazione finisca, in qualche modo, per condizionare anche ciò che si comunica. Internet lo conferma ancora una volta.
I suoi tempi e le sue modalità, pienamente coerenti con quest’epoca, proiettano il nostro comunicare in una dimensione spesso fittizia, superficiale, autorappresentativa, quantitativa e perché no, a volte superflua. Nella rete si può dire tutto, mostrare ogni cosa. Si può essere ciò che si vuole.
Di conseguenza anche l’utilizzo che i movimenti rivoluzionari o antagonisti ne fanno corre questi rischi.
Per questa ragione a volte si può anche scegliere di non dare eccessiva importanza agli scambi, ai dibattiti e alle prese di posizione che la rete ospita. Si può anche scegliere di mostrarsi direttamente nelle pratiche concrete per quel che si è e che si pensa. Lo si fa correndo il rischio di non potersi mostrare sempre a tutti, correndo il rischio di non essere sincronizzati con il tempo che scorre nel web, correndo il rischio, in questi tempi, di non esistere.
Non vogliamo ridurre in queste poche righe un tema complesso come quello dell’utilizzo o meno di internet. Vogliamo però porre l’attenzione su l’esistenza di una possibilità, tra le tante, che spesso non viene presa in considerazione. Ciò non toglie che anche questa sia, tuttavia, una scelta che può aver portato a degli errori: per esempio quello di tacere quando sarebbe stato, invece, il caso di esprimersi anche attraverso questo strumento. Poco male, vada per la prossima volta.
Ma andiamo al nocciolo.
Questa relatività che attribuiamo alla comunicazione virtuale, non solleva chi ne fa uso dalle responsabilità rispetto a ciò che sceglie di comunicare.
Un comportamento delatorio è un comportamento delatorio, in ogni circostanza, in ogni contesto, che sia condizionata dallo strumento del comunicare o meno. Che avvenga su carta stampata, su un social o con i segnali di fumo.
Un comportamento delatorio è un comportamento tra i più detestabili.
E questo lo sanno tutti.
Perfino la morale cattolica ci ricorda che chi fa la spia non è figlio di Maria….
La lotta NO-TAV ci ha appassionato, l’abbiamo sostenuta, l’abbiamo vissuta e abbiamo cercato di diffonderla anche nei territori lontani dalla Val di Susa con il suggerimento di uno slogan che si è mutato in prospettiva: Portare la valle in città, sereni nel sapere che è una lotta popolare all’interno della quale i metodi di lotta più diversi hanno trovato sempre maggiore spazio e rispetto.
Su questa lotta abbiamo scommesso, perché vi abbiamo individuato un motore e un esempio nonostante tutte le contraddizioni e le difficoltà. Crediamo che questa esperienza sia ricca di indicazioni e suggerimenti utili a tutti e tutte coloro che tendono ad una frattura totale con le attuali strutture di potere.
Proprio per questo riteniamo che episodi come la pubblicazione del testo “I burabacio” sul sito Notav.info (nella sua prima versione) non debbano passare nel silenzio (nonostante la goffa correzione).
Sentiamo che sarebbe una leggerezza imperdonabile lasciar passare una cosa del genere nell’indifferenza.
Crediamo che un fatto del genere rappresenti un precedente rischioso e deleterio per quel patrimonio collettivo di lotta che la Valle ha negli anni contribuito ad arricchire.
Roma 15 gennaio 2015
NED – P.S.M.
Regali di Natale
Qualche giorno fa lamentavamo come la discussione intorno agli “incendi di Natale”, potenzialmente ricca di spunti interessanti, fosse deragliata ancor prima di nascere. A più di una settimana di distanza e nonostante l’invito dei compagni di Bologna a farla ritornare sui binari la situazione ci sembra addirittura peggiorata. Proviamo allora a dare noi il nostro contributo: chissà se servirà. Una nota di metodo, prima di iniziare. Il “noi” che parla nello scritto che segue non è da riferirsi né ad un singolo con deliri di onnipotenza né a gruppi particolarmente allargati di compagni: a parlare sono semplicemente i redattori di //Macerie e storie di Torino//.
Sotto sotto una proposta
Ricominciamo daccapo. Nelle notti precedenti al Natale scorso, prima a Firenze e poi a Bologna, qualcuno dà fuoco ai cavi del meccanismo di gestione e controllo traffico della linea ad Alta Velocità. Materialmente i danni sono pochi, ma in tutti e due i casi il sistema va in tilt e dall’alba i ritardi si sommano ai ritardi – e questo è un danno grosso. Nessuno si fa male, né avrebbe potuto farsi male, semplicemente per due volte in pochi giorni la circolazione ferroviaria in quelle tratte è compromessa, a partire da quella dei treni super veloci.
Il collegamento tra questi fatti e la lotta contro il Tav sorge spontaneo, poiché ad andare a fuoco sono state proprio canaline e centraline della nuova linea; del resto sono alcuni anni che, in tutto lo stivale, grupponi di oppositori al treno armati di striscioni e bandiere invadono periodicamente i binari bloccando Frecciarossa, Frecciabianca e Frecciargento – o Tgv di passaggio -, a volte imbrattando le carrozze ma causando sempre ritardi a catena sulle linee. Non è fuori dal mondo che tra le migliaia e migliaia di oppositori al treno super veloce ci sia chi, questo Natale, abbia voluto sperimentare un modo diverso per ottenere lo stesso effetto di quei blocchi già tanto diffusi. Niente di particolarmente nuovo, tra l’altro: meno di un anno fa, dichiaratamente in solidarietà con gli arrestati del 9 dicembre, qualcuno ha bloccato la linea all’altezza di Roma lanciando sui cavi della corrente una catena con alle estremità dei mattoni e nessuno ha espresso sospetti particolari o ha avuto qualcosa da ridire.
Solo chi c’era può dire perché è successo quello che è successo, per carità, ma ci sembra tutto sommato una situazione limpida. Da parte loro i giornalisti e i politici hanno fatto il loro mestiere, e nel solito modo, alludendo a un terrore e a un terrorismo che non stanno né in cielo né in terra: dopo gli incendi di Natale gli utenti abituali dell’Alta Velocità non avranno certo paura a prendere quel treno, semmai sapranno che quel treno è talmente malvisto da… arrivare spesso in ritardo; chi ha subito i ritardi a catena sui treni “normali” pure non ha avuto alcun motivo di essere terrorizzato. In mezzo ai passeggeri ci sarà pure stato qualcuno che, solidale con la lotta contro il Tav, si sarà fatto una risata; e pure qualcuno soddisfatto di avere avuto una buona scusa per perdere qualche ora di lavoro. Gli altri, la maggioranza, si saranno semplicemente incazzati o saran rimasti indifferenti, come per tutti i blocchi fatti con striscioni e bandiere in questi anni: ma non basta certo una coincidenza di luogo, o di data, per alludere alla strage della stazione di Bologna, dell’Italicus o del Rapido 904, che son state terrorismo senza dubbio ma che c’entrano quanto i cavoli a merenda. L’intelligenza dei giornalisti, del resto, è fatto misterioso e insondabile e non è sempre facile capire dove finisca il ragionamento malevolo e la provocazione studiata (come questi accostamenti abusivi) e dove inizi la semplice sciattezza, la tendenza continua alla castroneria (come nel caso delle tag graffitare scambiate per “la rivendicazione dei No Tav”).
Per quanta confusione abbiano seminato giornali e politici, e soprattutto in assenza di elementi contrari che non ci sembra proprio ci siano in questo caso, non ha alcun senso domandarsi, come hanno fatto alcuni: «Ma sarà stato davvero “qualcuno dei nostri”? C’è qualcuno che invece trama nell’ombra?». Ha senso invece che ciascuno si domandi se in questi fatti non ci sia una proposta indirizzata anche a lui, e se questa proposta sia sensata, accettabile; se sia da difendere e rilanciare o, al contrario, da lasciar cadere nel vuoto.
Possibilità da cogliere, oppure no
Del resto un anno e mezzo fa è andata più o meno così. Ci si è svegliati una mattina con la notizia dell’attacco al cantiere del 13 maggio, con i giornalisti e i politici che strillavano e facevan confusione. La “notte del compressore” aveva in sé degli elementi di rottura – sia da un punto di vista organizzativo che della scelta degli strumenti pratici – rispetto a ciò che in quel momento il grosso del “movimento No Tav” era disposto a praticare e sostenere, ma anche di grande continuità: era un passo, una possibilità in più che evidentemente non poteva esser proposta, discussa e organizzata nelle assemblee popolari e nei coordinamenti dei comitati, ma che rispondeva (adeguatamente o meno, non è questo il punto da chiarire qui) a una necessità della lotta. Sta il fatto che qualcuno ha dato la propria lettura della situazione, ne ha discusso e si è organizzato con chi meglio preferiva, e la notte del 13 maggio 2013 ha fatto quel che doveva fare. Non era certo la prima volta che succedeva qualcosa del genere, ma forse mai con tanta forza. E come ha reagito, da parte sua, il “movimento No Tav”? Ha letto quella notte per quello che secondo noi era: una proposta. Tanto per essere chiari, quando parliamo di “movimento No Tav” lo facciamo nella unica accezione che ci piace di questo termine, vale a dire l’insieme vivo, multiforme e privo di una logica univoca di chi si oppone alla costruzione della linea del super-treno. Ed è per questo che non ci si poteva certo aspettare che quella proposta fosse accolta in maniera unanime, né univoca, né tantomeno definitiva. Dove e come verificare un’eventuale unanimità? Come evitare che della “notte del compressore” ciascuno cogliesse solo quel che voleva e poteva, o che magari accogliesse quella proposta obtorto collo per non rimanere fuori dai giochi? E, infine, siamo convinti che «indietro non si torna» è uno slogan che descrive bene fermezza e determinazione, ma non la realtà delle lotte dove si deve esser sempre disposti a ricominciare daccapo. Ma possiamo dire che, per lo meno nel suo aspetto più immediatamente pratico (l’uso del sabotaggio), quella proposta è stata giudicata cosa positiva da una fetta considerevole del movimento, e le parole d’ordine urlate a squarciagola dopo l’arresto di Chiara, Niccolò, Claudio e Mattia ci sembra lo dimostrino sufficientemente. Il suo aspetto di metodo, cioè la possibilità di organizzarsi al di fuori delle assemblee popolari e dei coordinamenti dei comitati, invece, è rimasto tutto sommato in ombra e possiamo dire non sia stato digerito fino in fondo: a volte è accettato, come nel caso dei sabotaggi avvenuti in Valle nell’estate del 2013 contro le ditte coinvolte nell’affare, a volte invece no. E l’aria che tira in questi giorni ci sembra dimostrarlo.
Se non ora…
Torniamo allora ai fatti di Natale. Secondo noi quegli incendi sono stati una buona idea. La linea ad Alta Velocità è, con espressione abusata e banalissima, un gigante dai piedi d’argilla: le truppe asserragliate nel cantiere di Chiomonte non possono certo bastare a sorvegliare centinaia e centinaia di chilometri di binari che, sparsi per tutto lo stivale, sono un po’ i nervi scoperti di una Grande Opera che non è odiata e non ha creato danni solo in Val di Susa. Con la lotta di questi anni i valsusini si son conquistati una simpatia, in tutta Italia, che tanto spesso si è tramutata in sostegno concreto e determinato; e c’è pure chi è contrario al Tav e disposto a battersi al di là delle vicende specifiche della lotta in Valle. Del resto, con le iniziative agli alberghi, alle ditte e i blocchi nelle stazioni, i luoghi nei quali si svolge la lotta si sono già sganciati dal solo cantiere per cui il salto non ci sembrava affatto incomprensibile e il suggerimento di quelle notti di Natale avrebbe potuto esser colto ancora, e altrove: la qualità di iniziative come quelle sta proprio nel loro potenziale aspetto quantitativo, nella possibilità cioè che, non risultando del tutto stonate rispetto al contesto né di difficilissima realizzazione, vengan riprese da altri e ripetute aumentando di incisività. È vero che iniziative come questa natalizia sfuggono, per loro natura, a una discussione preventiva pubblica e pongono pure dei problemi alla discussione nell’immediatezza del poi – giacché si deve sempre badare a che le proprie perplessità non finiscano per indicare ai questurini, per esclusione, i sospetti su cui indagare. Ma è vero pure che, se non ci si sentisse obbligati a rispondere a ogni strillo dei giornali, un modo per confrontarsi lo si potrebbe sempre trovare perché è sempre importante discutere e criticare; ed è vero anche che quando le proposte sono inadeguate ad una determinata situazione semplicemente non troveranno nessuno che le raccoglierà e moriranno da sé. E poi ci si dovrebbe rassegnare al fatto che il “movimento No Tav” non può essere una firma, né un solo contesto organizzativo, ma un insieme molto più vivo ed eterogeneo dove non per forza si deve esser tutti d’accordo e dove nessuno può pretendere di controllare tutto. Questa volta, poi, si è andati oltre con le affermazioni oggettivamente delatorie contenute in un breve post pubblicato da uno dei siti più seguiti del movimento. Affermazioni corrette dai loro stessi autori il giorno successivo, quando però erano ormai circolate ampiamente finendo pure sui giornali. Solo negli ultimissimi giorni gli autori hanno ammesso pubblicamente, sia durante delle assemblee che per iscritto, di aver fatto un errore. È importante che l’abbiano riconosciuto, dato che è fondamentale segnalare che non c’è foga polemica che giustifichi queste scivolate; e se l’avessero fatto prima ci saremmo evitati quella lunga serie di comunicati, redatti con toni e modi diversi, e a volte tutt’altro che precisi, che ne chiedeva loro conto. E si sarebbe potuto discutere di cose più interessanti.
Insomma, quegli incendi ci sembravano una buona idea a Natale e ci sembrano una buona idea anche adesso. Dopodiché, se quella che sembra una buona idea non funziona o non attecchisce ad un certo punto la si può anche metter da parte e… tenersela buona per quando potrà attecchire e funzionare. E forse proprio qui sta il punto. Ognuno di noi può valutare l’adeguatezza di una certa proposta ad una certa situazione e poi concludere: «bella questa idea, peccato che non sia questo il momento migliore». Ma poi l’impegno deve essere concentrato a far sì che si possa far domani quel che non si è potuto fare oggi, perché se alcune condizioni che rendono adeguato un fatto al contesto sono imprevedibili e del tutto sganciate dalla nostra volontà, altre invece dipendono anche da noi, dalla chiarezza dei nostri discorsi, dalla direzione nella quale decidiamo di spingere. Chi ha pensato che i sabotaggi di Natale fossero in teoria una buona idea, ma da mettere in pratica in un altro momento della lotta (magari durante uno dei picchi di combattività del movimento, come subito dopo la caduta di Luca dal traliccio o in alcuni momenti del processo ai quattro del 9 dicembre), se ora parla di quelle iniziative come di disprezzabili «straccetti imbevuti di benzina» non ne favorirà certo la riproposizione ma anzi ne allontanerà la messa in pratica all’infinito. Identico ragionamento si può fare per chi pensa che il sabotaggio sia sì un buono strumento, ma da utilizzare con il contagocce giacché forse non è stato ancora digerito dal grosso del movimento che lo ritiene utilizzabile solo contro il cantiere e le sue propaggini in Valle e non contro le linee che già funzionano: bisognerà allora trovare i modi per favorirne ulteriormente la digestione, con i discorsi e con le proposte pratiche. Ci sembra sia stato fatto l’esatto contrario: capiamo la foga polemica, ma qualcosa non ci torna.
Tutto qua? No, almeno per questa volta vorremmo indicarvi due fattori apparentemente opposti che stanno contribuendo, entrambi, a far mettere da parte troppo frettolosamente la proposta contenuta negli incendi di Natale: l’eterna teoria del complotto e la contrapposizione tra questi episodi e la lotta “in Valle”.
Trame oscure e riflessi condizionati
Esiste in Italia una mentalità diffusa che vuol vedere sempre sotto la superficie delle cose trame nascoste e intelligenze occulte che hanno potere e capacità organizzative per mettere in atto ragionamenti spregiudicati e machiavellici. Ora, di grandi trame nascoste ce ne sono state e ce ne saranno ancora – Piazza Fontana ce l’ha tristemente insegnato. E ci sono e saranno pure sempre delle trame piccoline, fatte di meschini calcoli individuali, come nel caso recente dell’autista di Rinaudo. Ma, vivaddio!, non le si può trasformare nel motore del mondo o, più banalmente, nella chiave di lettura per tutto ciò che non si capisce o non si condivide. Se ci sono degli elementi concreti, fattivi, delle contraddizioni grosse e visibili nei fatti che accadono per come li possiamo conoscere… – passi!, che sorgano dei sospetti. Per fare un esempio semplice: lo scritto di Capodanno attribuito ai Noa, che snocciola a vanvera nomi di compagni, e minaccia, e promette senza nulla fare, è evidentemente una bufala buona per i giornali in vena di titoli roboanti (che sia una bufala studiata e organizzata o, più semplicemente, il parto sghembo di un mitomane non ci azzardiamo a dire). Ma nel caso degli incendi di Natale, l’unica cosa “strana” non sta nel fatto in sé, ma nella narrazione che ne han fatto i giornali, nella demenza manifesta con la quale han preparato le fotogallery con le tag graffitare. Ma che i giornalisti vengan selezionati per sciatteria e scarsa funzionalità delle sinapsi è un mistero che avevamo già svelato da qualche tempo. Oppure dovremmo dar retta al giudice Imposimato che, in virtù della sua lunga esperienza e dall’alto del suo profilo Facebook, ci informa che quegli incendi sono “strategia della tensione”: e chi gliel’ha detto, a costui? E in base a quali elementi, a quale ragionamento, di grazia? E accettare di dare spazio a lui oggi, non è un po’ come se in una qualsiasi lotta del futuro i nostri figli accettassero di farsi dar lezioni da Rinaudo? – con trent’anni di più, imbolsito e con la dentiera sarebbe certo un perfetto esperto di terrorismo…
Siamo seri. Non possiamo fornire alcuna ricetta preordinata per individuare bufale e provocazioni e separare a colpo sicuro, come si dice, il grano dal loglio. Ma pensiamo che come non ce l’abbiamo noi non ce l’abbia nessun altro. Poi è vero: i desideri influenzano lo sguardo, e la fiducia che abbiamo noi nell’iniziativa anche individuale, nella determinazione anche sparpagliata di chi ha voglia di buttarsi nella battaglia contro il super-treno, può giocare brutti scherzi e farci prendere lucciole per lanterne. Ma l’atteggiamento contrario, quello un po’ stitico di chi pretenderebbe che tutto passi sotto il suo controllo preventivo, quello di chi vorrebbe che accadano solo i fatti che lui ritiene opportuno che accadano, ci sembra sortisca effetti peggiori, visto che contribuisce a tarpar le ali a delle possibilità di lotta che poi possono servire a tutti; oppure, il che è più o meno lo stesso, a impedire la discussione su proposte che, come può pure succedere, sono semplicemente sbagliate o mal poste.
Non saranno certo queste poche righe a convertire i complottisti ad ogni costo, ne siamo consapevoli, e siamo pure consapevoli che questa mentalità sospettosa che critichiamo è molto radicata, non affatto esclusiva di gente in malafede: basta farsi un giro nei contesti in cui le lotte riescono a coinvolgere non solo i soliti militanti più o meno professionali ma gente comune, nei contesti in cui il tessersi delle lotte rende possibili discussioni dirette scansando per un attimo il fantasma della “opinione pubblica”, per rendersi conto che l’ipotesi del complotto è un riflesso condizionato che scatta ogni volta che succedono cose che si stenta a comprendere e a condividere. È per questo che chi, come noi, critica questa mentalità, dovrebbe smetterla di urlare, con il sangue agli occhi, «politicante paraculo!» ogni volta che periodicamente la vede riemergere. Non perché non ci sia chi le dà spazio per mero calcolo politico e non per convinzione propria, con l’unico intento di squalificare pratiche che non ritiene opportune in generale o in determinati momenti: c’è, c’è eccome, e continuerà a farlo fintanto che troverà terreno fertile negli ambiti di lotta. E su quel terreno possiamo intervenire solo se sapremo da un lato criticare quel riflesso condizionato e, contemporaneamente, spingere verso la comprensione critica di quei fatti che l’hanno fatto scattare.
Chiusi in canonica
Certo è che identico danno rischiano di farlo, paradossalmente, anche alcuni dei difensori più strenui di questi incendi natalizi. Già, perché, in mezzo a questo calderone, c’è pure chi ha voluto cogliere una contrapposizione netta, nettissima, tra la lotta in Valle e i sabotaggi di Bologna e Firenze: lassù fa tutto schifo, è stato detto, e quei sabotaggi sono un buon modo di non starsene con le mani in mano ma a distanza di sicurezza. Lassù, in montagna, parlamentari, sindaci, magistrati, scrittori imbronciati e scivolosi e ogni risma di animali politici; laggiù, lungo i binari di notte, chi è contro il super-treno ma pure contro il Parlamento, i Municipi, i Tribunali, gli artisti engagés, la bassa politica dei gruppuscoli e chi più ne ha più ne metta. Insomma, gli anonimi e sconosciuti sabotatori natalizi la loro proposta l’avrebbero fatta… agli anarchici! – e neanche a tutti giacché se su Parlamento, Municipi e Tribunali gli anarchici son d’accordo tra di loro, sull’arte e sulla militanza il dibattito è ancora aperto. Se la proposta è questa, è scontato che non si possa allargare più di tanto né tanto meno “tracimare”: gli anarchici sono quelli che sono, hanno le forze che hanno, e il grosso della gente del “movimento No Tav” sui quei temi ha le posizioni più varie e disparate e quindi ne rimarrebbe per forza di cose tagliata fuori. Certo, non c’è mica solo il “movimento No Tav”! Ma non vediamo proprio come e perché uno sfruttato di San Zenone al Lambro, coi coglioni gonfi per una vita di sfruttamento, determinato finalmente a combattere ma del tutto ignaro dei dibattiti di movimento, debba in un impeto di rabbia riprendere questi buoni esempi natalizi. Andrà, molto più probabilmente, a dare una testata al responsabile di Equitalia del suo paese o al suo capo al lavoro: farà cosa buona e giusta, dando magari un esempio contagioso pronto a diffondersi a macchia d’olio e senz’altro da sostenere ma… è un’altra cosa.
Chiariamoci: non siam mica contrari al fatto che gli anarchici, sul Tav o su altro, si facciano vicendevolmente delle proposte, anche in questo modo e anche a distanza. Ma poi non ci si può aspettare che succeda altro oltre a ciò che gli anarchici sono in grado di determinare direttamente. In questo caso: qualche trillo, un po’ di scampanellii… – siam forse carenti in carità di Patria, ma le campane a stormo tenderemmo ad escluderle.
Come sempre, ognuno vede nelle cose quel che ci vuol vedere. E noi negli incendi di Natale ci abbiam voluto vedere una proposta diretta al “movimento No Tav” – che, per fortuna!, è qualcosa di diverso dalla semplice sommatoria di gruppetti politici -, proposta che avrebbe potuto essere accolta e, chissà, forse pure tracimare; se era così, chi ci ha appiccicato sopra quella contrapposizione sicuramente non le ha fatto un buon servizio, contribuendo a rinchiuderla in una disputa tra parrocchie militanti: e le campane di queste parrocchie sì che han suonato a stormo in questi giorni.
macerie
Rumore di specchi, sulle retoriche giustificazioni dei delatori e altre cosette
I castelli di carta ogni tanto vengono giù, certe volte per un soffio di vento, altre perché si inciampa nel tavolo…dando un’occhiata alle vicende di questi ultimi periodi riguardanti la confidenza poliziesca a mezzo internet, mi pare proprio che i virgulti e le virgulte di notav.infam questa gomitata l’abbiano data proprio forte, e che le carte cadendo abbiano scoperto un bel panorama sulla reale faccia -ma ce n’era bisogno!?- di lor signiori/e: quello di arroganti autoritari che non disdegnano nemmeno la delazione pur di attaccare chi ha osato mettere in discussione il dogma e la dottrina notavica.
Di parole, più o meno moderate (ma come si fa ad essere moderati davanti alla delazione? Vien da pensar male…), più o meno condivisibili ne sono state dette molte, come molti sono stati gli isterismi da diva insolentita da parte dei signori confidenti. Ora a distanza di vari giorni la voce degli ormai noti delatori (repetita juvant) torna a farsi sentire, chissà quante volte avranno letto e riletto queste poche righe per sincerarsi di non inciampare nuovamente nel famoso tavolo…eppure il risultato, pur evidentemente frutto di sforzi delle migliori ed illuminate menti dell’ufficio stampa dell’anonima infami, non è poi granché…i nostri cominciano con il giocare con le parole…e l’evidente delazione diventa “un errore nell’ultima frase del nostro contributo”, proprio una bella manipolazione dei contenuti che avrebbe potuto trovare spazio nel libro di Chomsky/Herman “La fabbrica del consenso”; infatti in questo novello scritto dei nostri un’evidente delazione diventa un semplice errore tecnico di scrittura, quindi concettualmente si passa da una questione di sostanza, con tutto ciò che significa, ad una questione meramente tecnica, tentando così un’autoassoluzione attraverso lo svuotamento contenutistico e simbolico di certe affermazioni. Così come nel linguaggio del potere i poveracci che muoiono nelle sue guerre sono definiti “effetti collaterali”, i tristi figuri di notav.infam trasformano la loro delazione in un semplice errore di forma e che come tale secondo loro andrebbe letta ed interpretata. Il meccanismo è il medesimo, i nostri lo usano però in maniera stentata. Purtroppo per lor signori però le parole hanno un peso e certe affermazioni hanno un significato e delle conseguenze che non possono essere eluse semplicemente adducendo a giustificazione la propria buona fede ed un semplice errore…
I nostri poi continuano affermando che la “polemica” non sia frutto d’altro che di una strumentalizzazione tutta politica della vicenda, e ciò sarebbe dimostrato dall’atteggiamento che gli anarchici non avrebbero preso posizione su un documento francese del 2012 che sostanzialmente affermava come il movimento valsusino fosse gestito, nei suoi appuntamenti di “lotta” come ad esempio i campeggi, in maniera verticistica ed autoritaria dagli sgherri dell’Askatasuna…ma su cosa ci sarebbe stato da prendere posizione? Non è forse così? Suvvia, almeno su questo un minimo di sincerità, fatti su fatti lo dimostrano tanto che sembra superfluo passare troppo tempo su questo punto, un’ultima cosa però la vorrei far notare…l’accusa di partigianeria (ma è poi un’offesa accusare qualcuno di essere coerente con le proprie idee?) viene mossa da coloro che nella testata di uno dei siti che gestiscono scrivono “l’informazione di parte”…ahiahiahi, che si mettano d’accordo fra loro stessi almeno. Tornando alla questione di cui sopra, Sarebbe altresì interessante chiedersi e capire come mai certi, anzi molti degli anarchici che frequentano la famosa valle per anni abbiano accettato la marginalizzazione e di subire in sostanziale silenzio certe dinamiche…questo si che avrebbe senso domandarsi…
Torniamo al testo. I cari amici della delazione affermano che portare all’attenzione di chi fosse interessato certe questioni non sarebbe altro che un modo per utilizzare la fama del movimento notav (il minuscolo è voluto) per ricercare legittimazione pubblica: “…del Movimento No Tav pur cercando in esso, in seconda battuta, la legittimazione pubblica di tale agire” Ebbene mi pare palese che nessuno, e basta leggere tutti i comunicati usciti in questi giorni -eccettuando il triste scritto uscito dalle penne romane- ricerchi nessuna legittimità pubblica né all’interno né fuori il movimento trenocrociato, tanto meno i redattori di Finimondo…chi scrive ad esempio non è notav, ma casomai contro l’alta velocità ed il mondo che disegna, e soprattutto non ricerca nessun tipo di legittimità, termine più consono al linguaggio del dominio, a differenza invece di chi pur di mostrare la propria bella faccia in giro è disposto a sedersi sugli sgabelli di Santoro, di condividere palchi con giudici boia come Imposimato, di servirsi dei media di regime come strumento di propaganda.
Tralascio la solenne retorica di movimento che segue, degna della più scafata chiesa e passo direttamente alla chiusa del documento…
“Permetteteci però di chiudere con una promessa. In tutti questi anni di intensa lotta abbiamo resistito ad un attacco senza precedenti portato avanti dalla politica dei palazzi, dai mezzi di informazione, dall’azione della magistratura e lo abbiamo fatto senza fare mai un passo indietro, cercando anzi di rilanciare la nostra azione ogni qualvolta è stato possibile. Ciò che sappiamo, quindi, è che non saranno di sicuro delle miserabili accuse a distrarci dal nostro cammino”.
In parte ciò che è scritto sopra è vero, certi figuri hanno sempre avuto le spalle larghe, si sono difesi dagli attacchi dei magistrati grazie all’appoggio ed alla complicità di…magistrati, si sono difesi egregiamente dagli attacchi dei media sfruttando i media di regime stessi, nella componente d’opposizione (leggasi il fatto quotidiano ad esempio) alle lobbies di potere momentaneamente al dominio; si sono difesi mirabilmente dalla politica dei palazzi mutuandone metodologie, linguaggio e strutture sistemiche, in una legittimazione dell’impianto di dominio che comunque i nostri non disdegnano certo, ma del quale vorrebbero prendere il timone, verniciato di rosso, s’intende!
Una lancia però per questi autoritari la spezzo volentieri, alla fine non fanno che essere conseguenti con le proprie idee, la cosa che in realtà infastidisce di più è come certi libertari ed anarchici abbiano accettato fino ad ora e continuino ad accettare tutto ciò delazione compresa, forse per convenienza politica, forse perché si sono illusi di avere pari “dignità”, forse perché come quei poveri cani che per una vita sono stati bastonati ed ai quali è bastata una carezza “popolare” per farli diventare riconoscenti e fedeli hanno deciso di ingoiare di tutto e di più, nella speranza che chissà, in un prossimo futuro…
L’Aska ed i suoi accoliti non sono il movimento diranno alcuni; chiedo io: “come si è posto il vostro “movimento popolare” davanti alla delazione?” C’è chi fino ad ora ha deciso di partecipare ad un’esperienza nella quale sotto l’alone putrido del “movimento delle mille anime” è sceso in piazza, ha condiviso il piatto e condivide le iniziative con preti, magistrati, ex militari, politici, autoritari di ogni fatta…deciderà ora di continuare a stare fianco a fianco con i delatori? Povera “L’Idea” sacrificata sull’altare del pragmatismo politico…
Solidale con i redattori di Finimondo, anarchico individualista, libero da chiese e convenienze, contro i delatori
M.
Dissociati, delatori e minchioni
Il significato più profondo degli ultimi cinque anni di lotte in Val Susa è la riscoperta della genuinità dello stare assieme resistendo, e il contestuale rifiuto della speculazione politica come tale. L’autonomia del tutto è diventata più importante delle diverse, spesso patetiche autonomie del politico (e dell’ideologico), che pur hanno cercato e cercano di sostituirsi alla condivisione che si sedimenta sull’esperienza. Su questo, la valle non ha guardato in faccia nessuno. Ancora oggi torna ad affermare che un movimento non è la sommatoria di “componenti”, ma un insieme di persone che trasformano sé stesse trasformando il mondo. “No Tav”, di conseguenza, non è un brand che sia possibile usare sul mercato ambiguo della legittimazione politica, avvenga ciò per una lista elettorale o per privatizzare la pratica o l’idea della rivoluzione, dell’insurrezione o del sabotaggio. Il movimento ha i suoi comitati e le sue assemblee per guardarsi negli occhi tra pari e camminare lungo i sentieri della lotta in comune. Diffida di sette e fazioni ideologiche, o dei leaderini che lisciano il pelo a questo o a quel potenziale detrattore per (ri)abilitarsi, (ri)collocarsi, anche a costo di (ri)cacciarsi nel deprimente deserto del prevedibile e dell’inoffensivo.
Per questi individui un gesto politicamente del tutto innocuo, stabilito da un piccolo gruppo, dovrebbe annullare ogni sforzo d’interpretazione e qualsiasi tensione al dibattito. Valutare criticamente un’azione compiuta da qualcuno è per loro, infatti, “dissociazione”. Con questo inquinamento malsano del lessico, irrispettoso delle persone e della memoria rivoluzionaria, tentano di liquidare le critiche al loro punto di vista, cercando riparo da argomenti semplici e diffusi che non sono in grado di controbattere politicamente. Utilizzano un termine coniato dallo stato per gettare nel discredito, squalificandole in anticipo, le analisi altrui, partendo dal presupposto che non si critica pubblicamente un’azione “contro”; e il carattere “contro” (qualunque cosa ciò voglia dire, per loro) di un certo gesto sarebbe il loro intimo conciliabolo, naturalmente, a stabilirlo. Eccoli allora perimetrare la sfera del consentito e del non consentito in termini di espressione e discussione, brandendo la spada dell’insulto su chi ragiona, come ogni rivoluzionario dovrebbe fare, sulle pratiche e sulla loro efficacia. Credono ogni volta che sia il movimento a dissociarsi da loro, e non loro, nel tempo e nei fatti, a dissociarsi dal movimento – ammesso che vi si siano mai sinceramente associati, al netto di ogni mero intento parassitario.
Il dubbio è venuto a chi ha visto trasformare un’assemblea No Tav a Vaie, l’estate scorsa, in un improbabile congressino per disquisire delle fobie ideologiche di un ristretto gruppo di persone. Sguardi imbarazzati di valligiani e compagni. “E ‘sti gran cazzi” nelle menti di tutti noi. (Loro, però, l’ideologia – lo scrissero in quell’occasione – non sono disposti a sacrificarla “neanche alla rivoluzione sociale”: e questo, in effetti, è interessante). Pazienza ne abbiamo avuta tanta. Non è certo stata l’unica occasione. Abbiamo sempre preferito un bicchiere di vino e una fetta di polenta, riderci sopra e sdrammatizzare. Nessuno è perfetto e il movimento ci piace, talvolta, anche per il suo modo di essere un magnifico e simpatico concentrato di follia. Questa volta, però, non è il caso, se è vero che al posto della follia abbiamo trovato una brutta specie di furbizia, la peggiore. Alcuni degli stessi individui, infatti, sono passati da queste ad altre questioni, più delicate, che concernono altri principi. E hanno sostituito l’usuale, risibile insulto della “dissociazione” con un altro, che non fa ridere.
Approfittando cinicamente di un errore commesso per leggerezza, e senza intenzione, dal sito notav.info (che per criticare dei quaquaraqua, per disattenzione, ha potuto lasciar intendere di voler loro attribuire atti che si volevano ascrivere a una più generale attitudine all’insensato), ci hanno deliziati con una tiratina d’orecchie venuta male. Per accusare compagni e compagne (che tutti conoscono, e di cui nessuno ha mai messo in discussione l’integrità) di delazione, occorre presupporre quantomeno l’intenzione di qualcosa di innominabile, ingigantendo un episodio che, per quanto spiacevole, è stato chiuso dopo poche ore da una modifica del testo effettuata autonomamente, una volta che alla redazione è apparso chiaro il possibile fraintendimento del testo. I nostri non hanno invece esitato a giocare col fuoco, presentandosi a un paio di assemblee e insistendo in questa chiacchiera malevola, chiarendo confusamente che quel che avevano scritto non significa “infamia” e che, per carità, bisogna distinguere “delazione” da “delatori”. Alcuni loro amichetti, non volendo apparire da meno ma essendo un po’ timidi, hanno invano tentato di aprire un dibattito: dobbiamo accusarli per “dolo” o semplicemente per “colpa”?
Così, coprendosi di ridicolo senza far ridere nessuno, hanno oscillato per alcune ore tra il linguaggio giudiziario delle macerie di null’altro che della propria onestà intellettuale, e quello delle grottesche distinzioni metafisico-clericali poste a fondamento della scomunica del Concilio di Trento e di Rovereto. Risultato? Nessuno, se non l’invito a sciacquarsi la bocca prima di rivolgere accuse strumentali a comitati e compagni. Però si è immesso tra alcune persone, e tra chi si oppone all’alta velocità o al suo mondo, un insulto abnorme, una sparata abbastanza grossa da non poter essere considerata che una provocazione fuori misura. Perché? Ci dicono: è una questione etica. Allora, saremmo d’accordo. Però che fate, discutete con dei delatori nelle assemblee? Buffoni: sapete benissimo quanto disonesta sia stata questa cosa, e quanto certe barricate capziose voi le abbiate difese oggi strumentalmente, e ieri a intermittenza. Non parlate di principi o di etica perché grazie a questa azione schifosa avete dimostrato di non esserne capaci, subdoli calcolatori quali siete, ipocriti fatti e finiti, non anarchici, ma miserabili politicanti dell’anarchia.
Bravi, ditevi che non è così.
Di questa impresa, risponderete alla vostra storia personale, prima ancora che politica; ma evitate d’ora in poi di ammorbare i luoghi della lotta con le vostre pesantezze e le vostre paranoie, con le inclinazioni depressive del vostro devastante super-io e la vostra irrimediabile presa male. Perché in tanti, in troppi, abbiamo di meglio da fare; e per quanto nel superare il confine che separa il tragico dal ridicolo siate maestri, occorre sempre fare attenzione a non varcarlo al contrario. Minchioni.
Csoa Askatasuna
Confermo: dissociati, delatori e minchioni
Delazioni e compagni di strada
Sulle delazioni e i compagni di strada
Infami , politicanti e pompieri
Abbiamo letto queste poche righe: “Delazioni e compagni di strada“, colle quali alcuni non meglio identificati “compagni con un piede nell’esagono” scrivono, a proposito di Non Fides, che: “è proprio questo sito che ha dato il via all’infelice pratica della delazione nel movimento no-tav”. Ciò, a detta loro, a causa del testo “Il nemico interno in Val Susa“.
Bon, tanto per cominciare, la palma di chi per primo ha pubblicato questo testo, purtroppo non spetta a noi. Quella ennesima denuncia delle pratiche autoritarie dell’Askatasuna ha girato via mail, è stata pubblicata anonimamente su Indymedia Grenoble ed anche altrove, prima che su Non Fides. Tra l’altro, un “autonomo torinese” rispondeva alle critiche contenute in quel testo, attribuendole ad un altro dei siti che l’hanno pubblicato. Capiamo che tutta la cosca dell’Autonomia-Contropotere torinese sia incazzata a causa della figura meschina fatta con la delazione via il sito notav.info, ma suvvia, almeno mettetevi d’accordo fra di voi…
Ma entriamo nel merito. Secondo questi “compagni” (dell’Aska), il testo in questione sarebbe “assai problematico [perché vi] si dice chiaro e tondo che il centro sociale Askatasuna “e i loro amici” avrebbero organizzato l’attacco al cantiere del 31 agosto 2012, gestendo attacchi e ritirate. È un testo che fa accuse precise di una certa rilevanza penale e che non è mai stato corretto.”
Come ha già detto giustamente un altro lettore di Indymedia Piemonte, è risaputo che la gestione di quel campeggio (agosto 2012), “assalti” compresi, era in mano agli autonomi. E che molte delle persone che hanno attaccato il cantiere la notte del 31 agosto 2012 siano poi tornate al campeggio, lo dice pure Cosimo Caridi, il giornalista de “Il fatto quotidiano” che proprio gli autonomi hanno invitato (si veda qui, minuto 2).
Ma continuiamo. Immaginiamo che il passaggio a cui si riferiscano gli amichetti dell’Aska non sia uno dei molti in cui si dice che quel campeggio, come troppi altri, sia stato gestito in maniera autoritaria proprio da loro, sotto copertura dei “comitati” o delle “assemblee”. Pensiamo si riferiscano piuttosto a questo: “Gli sbirri non hanno avuto bisogno di intervenire, alcuni leninisti del campeggio hanno fatto la polizia da soli/e, a colpi di “smettetela, non abbiamo le maschere antigas”, “il 31 sì, ma non oggi, non era previsto”, “il 31 attaccheremo massicciamente gli sbirri, ma non ora””. Oppure a questo, poco oltre: “L’appuntamento per attaccare il cantiere del TAV era stato quindi dato per il 31 agosto. […] Di fatto, verso le 22 una decina di sbirri bloccava i sentieri che portano alle loro recinzioni. Si è tenuta una “assemblea” spontanea per decidere cosa fare. Ciò consisteva più nel venire a prendere le consegne dai capi che nel decidere in maniera collettiva il da farsi. Abbiamo quindi fatto marcia indietro, per farci portare a passeggio attraverso le montagne per altre due ore, in giri inutili, tornando alla fine al punto di partenza. Alla fine è stato lanciato un attacco al campo degli sbirri, permettendo di far cadere una quindicina di metri di barriere, di lanciare pietre di dare fuoco a due camion-cannoni ad acqua. Dopo 20 minuti, mentre gli sbirri indietreggiavano, non si sa chi ha dichiarato che l’azione era finita e che bisognava ripartire. È stato intonato il coro di ritirata (“si parte insieme, si torna insieme”) e tutti hanno abbandonato la zona di fronte per riprendere la camminata notturna. Perché partire dopo soli 20 minuti? Di solito gli scontri possono durare diverse ore. Tutto lascia credere che i comunisti hanno avuto paura di ciò che loro non avevano previsto, di ciò che loro non controllavano ed hanno quindi anticipato la ritirata del corteo.”
I (loro) compagni con un piede nell’esagono sostengono che questi passaggi sarebbero penalmente rilevanti. In effetti potrebbero avere un certo valore in un tribunale: sono delle attestazioni di buona condotta. La prossima volta che qualcuno dei militanti dell’Aska sarà accusato in seguito a scontri in Val Susa, consigliamo all’avvocato di portare questo testo in tribunale, come prova della non volontà di nuocere degli autonomi torinesi. Perché in questi passaggi c’é scritto che, come tante altre volte, in Val Susa come a Torino, i caporioni dell’Askatasuna si sono comportati da pompieri. Hanno portato a spasso la gente, hanno fatto tagliare loro qualche metro di recinzione, giusto per far fare qualche bella ripresa al loro amico de “Il fatto quotidiano”, e poi tutti a casa! (“Si parte e si torna insieme”, sicuro!) Una volta ancora, come le tante altre in cui parlano con la Digos in piazza, per trattare del percorso di cortei, di cosa fare oppure no.
Gli autori di “Delazioni e compagni di strada” scrivono che il testo “Il nemico interno in Val Susa” non è mai stato corretto né tolto da Non Fides. No, e mai lo sarà. Perché vi si dice una parte di quello che siete, all’Askatasuna: dei politicanti e dei pompieri. Una gran parte del vostro percorso, in Val Susa e altrove, così come, last but not least il vostro comunicato da tamarri in risposta alle giuste critiche a “I burabacio” mostra che siete degli autoritari. Ed il resto lo dice “I burabacio” stesso: siete dei pompieri e pure degli infami. Ecco tutto.
Quanto ai “compagni con un piede nell’esagono”, beh, consigliamo loro un video interessante: “Europe : l’insurrection qui vient ?”, fatto dal giornalista Thierry Vincent, per Canal + (visibile qui). Da buon viscido giornalista (ma di sinistra, pure lui!) Vincent cerca di farsi degli amici fra i “militanti dell’ultrasinistra” in alcuni paesi d’Europa, per intervistarli, filmarne le gesta, etc. Fra altre bassezze, lo ritroviamo l’8 dicembre 2012 alla Clarea. In compagnia di qualche giovane sprovveduto che si è fatto abbindolare? Nient’affatto. Il giornalista scambia commenti e sorrisi con alcuni capoccia dell’Aska. Un occhialuto e riccioluto “militante d’estrema sinistra” lo porta poi a visitare la Credenza, per finire con una bella intervista proprio all’interno dell’Askatasuna.
Consigliamo questo video anche a chi non parla francese: quello che viene detto sono solo sciocchezze, ma è bene che certe facce, certe facce assieme a quelle dei giornalisti, ce le ricordiamo.
Infine, ancora una volta, l’importante per noi, non è rivolgerci a politici, amici di giornalisti e magistrati, a pompieri e delatori. Come già con la nota introduttiva a “I buoni di Natale”, intendiamo rivolgerci ai compagni anarchici, in special modo adesso a quelli che prendono parte alla lotta contro il TAV. Ci ha fatto piacere leggere alcune prese di posizione chiare e forti, in cui si riconosciamo. Purtroppo c’è anche chi cerca di dare un colpo al cerchio ed uno alla botte, deplorando non tanto la “scivolata” nell’infamia, ma il fatto che questa e le relative risposte abbiano rubato tempo a discussioni su “cose più importanti”. Speriamo che la discussione a proposito di queste “cose più interessanti” non faccia passare in secondo piano la contrapposizione nei confronti di politicanti, autoritari e infami di tutte le risme, anche rossi. E, ancora una volta, ripetiamo: che gli anarchici scelgano il loro campo, senza ambiguità. Noi lo abbiamo fatto.
Alcun* partecipanti a Non Fides.